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Mancino in aula: “Vi racconto la mia verità sulla trattativa Stato-mafia”
16 Mag 2014 08:56

Parla per dovere “verso la verità, ma la verità vera, non quella costruita”. “Perchè la Storia racconti che nessun cedimento ci fu verso la mafia”.

Al processo sulla trattativa Stato-mafia prende la parola Nicola Mancino, l’ex ministro Dc imputato di falsa testimonianza che, secondo la tesi dei pm, sarebbe stato a conoscenza dei rapporti tra il Ros dei carabinieri e Vito Ciancimino, prologo, a dire della Procura, del dialogo intavolato dalle istituzioni con pezzi di Cosa nostra per fare cessare le stragi.

Lui, una vita in politica e un passato da presidente del Senato, continua a negare di avere mai saputo dall’ex Guardasigilli Claudio Martelli che una trattativa fosse in atto dopo l’attentato a Falcone.

E oggi, davanti ai giudici della Corte d’Assise, che per la cosiddetta trattativa processano capimafia, pentiti, supertestimoni come Massimo Ciancimino e uomini politici, si difende anche da chi lo accusa di avere cercato di condizionare l’inchiesta palermitana contando sulle sue amicizie con i vertici dello Stato.

Le dichiarazioni spontanee di Nicola Mancino seguono l’ascolto in aula delle sue conversazioni con Loris D’Ambrosio, ex consigliere giuridico del Quirinale morto due anni fa, intercettate dai pm che indagavano sul patto tra Cosa nostra e pezzi delle istituzioni.

La Procura ha chiesto che venissero sentite in udienza nonostante fossero trascritte e a disposizione delle corte. Così per oltre tre ore nell’aula bunker del carcere Ucciardone le parti hanno ascoltato le preoccupazioni di Nicola Mancino e i suoi sfoghi con D’Ambrosio.

In tutto sette dialoghi in cui l’ex ministro, in modo anche pressante, si diceva allarmato per la deriva presa dall’indagine, che riteneva inconsistente, per la richiesta di confronto con Martelli, sollecitata dalla Procura al processo al generale Mario Mori, tra i protagonisti della trattativa per i magistrati, e per l’assoluta divergenza di indirizzo tra i pm di Palermo e Caltanissetta sull’inchiesta sulla trattativa.

Per i magistrati quelli di Mancino erano palesi tentativi di far togliere l’indagine a Palermo, pressioni che avrebbero avuto come ultimo destinatario il Colle, perché della trattativa non si occupasse più il pool del capoluogo siciliano.

“Non mi aspettavo, né ho chiesto alcuna avocazione dell’indagine palermitana”, si è difeso l’ex ministro davanti alla corte. “A fronte di valutazioni differenti fatte da diverse procure – ha aggiunto riferendosi alla diverse valutazioni fatte da Palermo, Firenze e Caltanissetta – sottolineai solo a Napolitano la necessità di esercitare funzioni di coordinamento”.

“Ho sempre servito lo Stato con lealtà, fedeltà, amore e in modo disinteressato”, ha più volte ribadito ai giudici Mancino, che non ha fatto mistero dei suoi timori di essere stritolato dall’impostazione investigativa impressa alla ricostruzione della stagione delle stragi dei magistrati palermitani.

“Contro di me si è innescata una campagna denigratoria nonostante io abbia combattuto sempre la mafia con determinazione”, ha ribadito ricordando i successi dell’azione di contrasto ai clan durante la sua guida del Viminale. “E mi rivolsi a D’Ambrosio non per avere aiuto o protezione – ha concluso – ma per confidare a un amico la mia angoscia”


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