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Restò al sud anche quando sentiva puzza di piombo

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«La mafia è una montagna di merda». Questa è la frase simbolo di Peppino Impastato. Perché ha in sé il profondo disgusto nei confronti di chi ha insudiciato – e continua ad insudiciare – una delle terre più belle del mondo: la Sicilia.

Perché la mafia ha soffocato il progresso dell’Isola, assorbendone le risorse per ottenere i propri scopi illeciti, devastando l’imprenditoria, togliendo di mezzo gli onesti, promuovendo al di là dello Stretto un’immagine negativa ed oscura di quanto succede nella Trinacria. Sì, la «mafia è una montagna di merda».

E, Peppino, giornalista, pagò quella presa di posizione con la propria vita, in quella maledetta notte tra l’8 e il 9 maggio del 1974. Cosa Nostra lo fece fuori, tra l’altro, senza timbrare la sua azione.

Simulò un suicidio “ad effetto”, con lo scopo di macchiare le verità del 30enne, perché avrebbero voluto che la gente lo ricordasse come un pazzo/terrorista, piuttosto che come un martire della legalità.

Sì, perché fu fatto a pezzi da una carica di tritolo posizionata sotto il suo corpo, poggiato sui binari della ferrovia. 

Ma la verità, anche se ci sono voluti più di 25 anni per farla accertare dalla giustizia, è emersa lo stesso. Il 5 marzo 2001, infatti, la Corte d’Assise riconobbe Vito Palazzolo colpevole e lo condannò a trent’anni di reclusione. Un anno dopo, l’11 aprile 2002, fu emessa la condanna all’ergastolo per Gaetano Badalamenti, il boss di Cinisi.

E oggi Peppino è considerato per quello ch’è stato: un eroe. Perché ha combattuto la mafia a viso aperto utilizzando come arma la comunicazione, soprattutto la sua Radio Aut, fondata nel 1977, autofinanziata, che trasmetteva da Terrasini.

Dalla frequenza 98.800 Mhz, il venerdì sera durante la trasmissione “Onda Pazza a Mafiopoli”, Peppino raccontava, senza peli sulla lingua, la vergogna mafiosa ed i suoi legami con la politica locale. Parole che decretarono la sua morte ma che non moriranno mai.

Peppino decise di restare al sud. Avrebbe potuto trasferirsi, soprattutto quando il clima attorno a lui stava cominciando a puzzare di polvere da sparo.

L’America lo aspettava. Eppure, preferì stare a Cinisi, nel regno di ‘toro seduto’ Badalamenti, perché aveva un sogno: la Sicilia liberata dalla peste mafiosa.

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Published by
Walter Giannò