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Sanità, anche il Sud ha le sue stelle: la storia di Giorgia tra emozione ed eccellenza
25 Giu 2019 15:15

Chi l’ha detto e dov’è scritto che per curarsi e avere risposte dalla sanità si debba andare fuori regione, spesso al Nord, a volte addirittura all’estero? La storia di Giorgia Sansone – ci teniamo subito a dirlo – è a lieto fine. In un mondo dove le brutte storie sono quelle che rapiscono di più, questa bella narrazione deve far riflettere. Perché è anche la storia di una sanità che, in pieno Sud d’Italia, sa dare una risposta eccellente.

La storia

Giorgia oggi ha 16 anni, vive da sempre a Lacedonia, lembo estremo dell’Alta Irpinia, con i genitori e i suoi due fratelli. Esattamente due anni fa, il 22 giugno 2017, ebbe i primi sintomi di un morbo tanto raro quanto bestiale. Inappetenza continua, febbre alta e prolungata. Il Morbo di Kawasaki colpisce (pochi) soggetti in età pediatrica – da 1 a 8 anni. Giorgia ne aveva 14. Una rarità nella rarità.
Dopo pochi giorni, sua madre Michela decide che non si può più aspettare. Da operatore sanitario con esperienza pluridecennale, coglie immediatamente lo stato di malessere di sua figlia. “Qualcosa mi diceva di portarla al ‘Rummo’ di Benevento”, dice oggi ricordando quei giorni concitati.

E così fa. Presso l’Azienda Ospedaliera sannita Giorgia e sua madre incontrano sulla propria strada il dottor Elziario Varricchio, primario facente funzioni del reparto di Pediatria e Adolescentologia. “In un’esperienza drammatica come sono stati quei mesi, il dottor Varricchio è stato per noi un’àncora di salvezza. Un professionista eccellente, di altissimo livello, di grandissima umanità. Disponibile anche fuori orario e sempre attento alle esigenze di Giorgia e alle nostre. Come lui tutto il personale medico e paramedico con cui abbiamo avuto a che fare”.

Un’opinione condivisa dalla stessa Giorgia, che, nella sua semplicità, al termine della sua permanenza sente la necessità di scrivere e consegnare al suo angelo custode una pergamena con parole commoventi (le riportiamo in calce all’articolo).
Di certo non si può dire diversamente. Perché il dottor Varricchio, salito all’improvviso su questa nave in tempesta, ne assume il comando e riesce a governarla. Innanzitutto, dopo analisi e test, riconosce la bestia che ha aggredito la piccola Giorgia, che pure colpisce un numero limitatissimo di soggetti. Si pensi che in Italia gli adolescenti che contraggono questo tipo di vasculite si contano poco più che sulle dita di due mani: 14 i casi registrati. A Benevento, addirittura, nessuno prima di questo.

Successivamente, il dottor Varricchio si dimostra abile a mescolare capacità professionale e vicinanza umana nei confronti della ragazzina, che desiderava solo tornare a una vita normale, e della sua famiglia, comprensibilmente scossa per l’accaduto.
Il risultato è che due mesi dopo il suo ingresso in ospedale, cure, analisi, pianti, momenti di scoramento, Giorgia torna a casa. E, piano piano, insieme ai 9 chili che aveva lasciato per strada, riprede la sua vita di tutti i giorni, fatta di passeggiate, amici, scuola,
Di questa vicenda restano solo due aspetti: i controlli cardiologici e di laboratorio, da fare ogni sei-nove mesi, e la certezza che a volte anche qui, al Sud, in questo nostro martoriato e vilipeso Sud, la sanità può presentare eccellenze di livello assoluto.

La lettera

Ospedale Rummo di Benevento

Ospedale Rummo di Benevento

Di seguito, la lettera che Giorgia ha scritto e fatto pervenire al dottor Varricchio.

Molto spesso vengono pubblicati articoli o vengono scritte lettere per testimoniare esperienze poco piacevoli che avvengono negli ospedali italiani a causa di comportamenti ‘ambigui’ assunti dal personale, ma a volte accade anche di imbattersi in episodi che nella loro difficoltà e criticità sono stati presi in carico da persone che, prima di pensare di agire secondo la loro qualifica, hanno pensato a far sentire a proprio agio l’utente.

Quest’ultimo è proprio il mio caso. Circa nove mesi fa sono stata ricoverata presso questa struttura, alla ricerca di una risposta al mio malessere. Mi ritengo molto fortunata, poiché nella mia sfortuna ho trovato un personale accogliente, cortese e umano che ha subito preso in carico il mio caso, agendo nella maniera più tempestiva possibile affinché tutto fosse risolto quanto prima.

La mia permanenza, però, non è stata breve; ho trascorso molto tempo nella mia piccola stanzetta, vedendo bambini che entravano e che uscivano, mamme in panico e i loro figli che piangevano, con medici in cerca di risposte e infermieri cortesi che distraevano i pazienti e i loro familiari dalle preoccupazioni che inevitabilmente assalivano il loro animo.
Io da questi stessi medici e infermieri sono stata trattata come se fossi una componente delle loro famiglie che era in cerca, oltre che delle cure, soprattutto d’affetto, amore e molta umanità. Queste tre componenti non sono mai mancate, non mi sono mai sentita fuori luogo né tanto meno in un ospedale, quello che sembra così oscuro e tenebroso agli occhi delle persone.

Non potrò mai dimenticare tutto ciò che i medici e gli infermieri hanno fatto per me; non dimenticherò mai le visite da parte del primario oltre l’orario lavorativo, solo per vedere come stavo, o le chiacchierate notturne con le dottoresse per abbattere quelle giornate che sembravano interminabili.

Non avrei mai pensato di trovare un personale così allegro e ospitale in un ambiente così caotico e pieno di preoccupazioni come può essere un ospedale.
Proprio per questo mi sento in dovere di porgere i miei ringraziamenti al primario, Elziario Varricchio, e all’equipe del reparto di pediatria e adolescentologia dell’Azienda Ospedaliera “G. Rummo” per avermi accolta, per aver risolto il mio caso e soprattutto per avermi reso partecipe di una famiglia ricca di così vari colori.
Grazie di cuore a tutti.
Giorgia


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