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Una microtragedia del Sud
27 Feb 2015 09:10

Aveva costruito una villa periferica al paese. I soldi erano frutto di venticinque anni passati in Venezuela, su di un camion, a trasportare merci. Caracas-Barquisimeto e viceversa.

Purtroppo, durante il tragitto, trascorreva  il tempo a stappare bottigliette di birra con i denti, e poi a scolarle. Ciò aveva compromesso il suo fisico e creato una dipendenza.

Quel vizio, se così si può ingenuamente chiamare, gli aveva procurato l’allontanamento della moglie e del figlio. Così, quella villa al paese, l’abitava da solo.

Nonostante l’alcol – aveva messo da parte una bella cifra – dal 1954 al 1979. Ovvero prima che l’economia del Venezuela crollasse. E quei soldi erano bastati a creare una casa degna di un re. D’Altronde, il paese dove era nato – in provincia di Catanzaro – era molto povero, defilato e dilaniato dall’emigrazione di tanti uomini come lui.

Essere tornato era già una conquista, costruire quella villa era aver scalato il k2. Ma c’era quella macchia dell’assenza della famiglia.

La moglie Assunta, aveva trovato un  lavoro da domestica presso un ricco commerciante di alimentari, ed aveva tenuto con se’ Francesco, il figlio nato dopo dieci anni di matrimonio. Poi aveva fatto perdere le tracce andando in altra città, non lontano da Maracaibo.

Era dunque solo in quella casa. E tale non voleva rimanere. Ma nel frequentare il bar della piazza centrale del paese, conobbe una donna, altrettanto sola e sarta discreta.

Ella era la cugina di sua moglie, ma lui non aveva dato conto al particolare.

“Ti piacerebbe incontrare tuo figlio?” gli chiese la donna in una passeggiata per un viale alberato.

“Mi hanno abbandonato, non m’importa più nulla.”

“Non ci credo.”

Quelle domande erano di un interesse che poteva esser duplice. O la donna voleva conferma di uno filo staccato per sempre, per mettere le mani sulla proprietà di quella casa, oppure provava dispiacere per il nipote.

L’uomo raccontò tutto al prete, che gli consigliò di metterla alla prova.

“Senti Milena, mi vuoi sposare? Sono pronto a donarti la nuda proprietà della mia casa ed io tengo l’usufrutto vita natural durante”

“Ci devo pensare.”

La lettura tornava duplice: o si era andata a consultare con la moglie di lui, oppure stava facendo due conti.

Stette una settimana a riflettere, poi chiamò l’uomo.

“Senti, ci ho pensato. Accetto di sposarti. Ma ad una condizione.”

“Quale?”

“Che torni in Venezuela, parli con Assunta, vedi tuo figlio e comunichi a loro la tua decisione di sposarmi. Voglio che lo sappiano.”

L’uomo tornò dal prete, che gli disse che era ottimo consiglio. Allora partì per le Americhe. E mentre era in giro per consolati, per rintracciare la moglie, seppe che la villa era saltata in aria a causa di una fuga di gas.

A quel punto aumentò le dosi quotidiane di birra e riprese a fare il camionista. Milena lo cercò per telefono.

“Ma non torni più?”

“E che torno a fare? Non ho più una casa e non so più cosa darti in cambio. Quella casa me l’ha fatta esplodere un paesano che io so…..è una vecchia storia.”

“Vieni in Italia, vivremo a casa mia. Parla solo con tua moglie. Digli che vuoi sposarmi”

L’uomo dopo la telefonata andò a giocare a carte.

In serata telefonò al prete. “Non torno più, Milena mi prenderebbe a casa sua, ma senza la mia villa non sarò io a comandare. Io porto i pantaloni e voglio continuare a portarli. Anche sotto un ponte.”

Questa è una microtragedia culturale del Sud. E tante ce ne sono state. E tante il Sud ne ha vissute.

Ecco il perché del ritardo economico e sociale. Tali distonie comportamentali le abbiamo ereditate, non è colpa nostra. La colpa è mantenerle.

Ora non sono più i “pantaluna” l’oggetto del problema, già denunciato da Lara Cardella nel suo libro vent’anni fa, ma c’è tanto da fare. L’adire alla violenza per dimostrare carattere, è uno dei tanti cancri del Sud. Di questo Sud.


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