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Caro senatore #Azzollini, la sua parabola dimostra che il potere non lascia niente
15 Giu 2015 08:07

Azzollini. Lo conosco da oltre trent’anni. Azzollini avanguardia del Liceo Scientifico, leader del Partito di Unità Proletaria, della scrivania colonizzata dalle pile dei saggi Einaudi, Horkheimer e Marcuse, Le Goff e Braudel, dei movimenti di lotta da animare e delle intelligenze da raccogliere, delle ciabatte e del dialetto, delle bermuda e delle magliette gualcite.

Apparire sciatto significava esibire il suo disprezzo per la forma. E disprezzare la forma coincideva con l’esaltazione dell’intelligenza. Perché l’intelligenza è il primato della sostanza. Insomma, la sciatteria è il lusso di chi si sente superiore, quindi può snobbare le regole. Il salto della quaglia fu improvviso. Repentino. Si ritrovò nel centrodestra dalla sera alla mattina. E quella notte forse non prevalsero solo ragioni politiche. O magari di convenienza.

Sono sempre stato convinto che quella notte si consumò definitivamente la sua mutazione. Il berlusconismo gli entrò dentro il cervello e l’anima. Gli andò bene, si ritrovò eletto in Parlamento grazie al trionfo di B. Aveva sommerso la passione nel calcolo e le tensioni ideali nella ragione fredda. Fu allora che prese corpo la sua filosofia di vita. Recitava così: tutti hanno un prezzo. Trovare quello giusto di ciascuno era il suo modo di esercitare potere, di affermare la sua superiorità. Gli idealisti, nella sua convinzione, sono, in fondo, solo ipocriti che dissimulano un prezzo più alto. Semplicemente non esistono.

Tradotto: non esiste ciò che è giusto ma solo ciò che conviene. Immagino il godimento sprigionato da quella frase sparata in dialetto, con violenza, urlando, inondata da una pioggia di bava, a bruciapelo in faccia alle due suore.

Aveva trovato finalmente anche il loro prezzo. E, forse, vista quella cloaca, non era stato nemmeno troppo difficile. Da anni ci confrontiamo qui a Molfetta. Ma in realtà si confrontano due visioni della vita prima ancora che della politica: per me le persone restano un valore, per lui possono essere trattate come una valuta. Mi hanno sbeffeggiato a lungo perché incapace di piazzare una sola persona nella Casa della Divina Provvidenza.

Mi sono bastate un paio di visite in dieci anni per capire che quello era un barile di tritolo in punto di esplosione, attorno al quale si era edificato un sistema gigantesco di malaffare e di consociazione. Lui ne ha preso il controllo a modo suo: facendo terra bruciata di ogni possibilità di salvataggio e ostentando con una protervia volgare il suo dominio. Ora è iniziato il suo crepuscolo. Il suo e della sua filosofia di vita.

Due sono le morali. La prima, nello spirito di questo tempo che sprigiona spavaldo l’egemonia della corruzione, è che l’astuzia superiore del denaro in realtà non è altro che una suprema manifestazione di stupidità. Sembrano furbi ma alla fine si rivelano solo stolti. La seconda sta tutta nella parabola effimera del potere: pensi che valga tutto nella vita, poi ti accorgi che ti lascia niente.

Ci vuole maggiore intelligenza, insieme della ragione e del cuore, per scorgere che oltre il potere c’è ben altro. C’è il senso che da pienezza a tutto. ps l’ultima volta che ho scritto di lui mi è arrivata una querela. Di solito il potere che vacilla è il più isterico. E questa volta vacilla, caspita che vacilla.


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