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Il miracolo dei frutti della Campania. “Sono nati su una terra contaminata, ma sono buoni”.
17 Set 2013 09:02

A Giugliano in Campania ci sono 220 ettari condannati a morte. Avvelenati e compromessi per sempre.

La falda acquifera risulta contaminata da sostanze cancerogene volatili anche nei 2mila ettari circostanti.

Si tratta di un raggio di 20 chilometri quadrati. O di 2600 campi di calcio, come quello dello stadio San Paolo.

Tutto questo in base a una indagine dell’Istituto superiore di Sanità.

«La bonifica appare impossibile – sostiene il commissario di governo, Mario De Biase – Per legge, infatti, bisognerebbe raccogliere tutti i materiali, rimuoverli e trasportarli altrove. Stesso discorso vale per le acque. Un’impresa proibitiva. Ciò che è invece necessario fare è la messa in sicurezza per fermare l’avanzata di percolato e biogas. Un obiettivo a cui stiamo lavorando senza sosta. E in parallelo bisogna pensare a una massiccia riconversione “no food” sostituendo gli alberi da frutto con pioppi, boschi ed essenze arboree».

Ma assicura De Biase «nonostante quest’emergenza i prodotti ortofrutticoli allo stato attuale non risultano avvelenati. Io sono pronto a mangiarli, raccogliendo l’invito di movimenti ed associazioni».

«Al di là dei rifiuti tossici, quel pezzo di Campania è stato oggetto di un abusivismo edilizio sfrenato – denuncia il commissario – Così molte abitazioni e attività commerciali scaricano direttamente materiali e resti organici in falda».

«Alla luce dei dati disponibili, ottenuti con le procedure analitiche selezionate – scrivono gli esperti dell’Istituto superiore di sanità nel dossier su Giugliano – si evince che, al momento, la presenza dei composti organici volatili, maggiormente rilevati nelle acque dei pozzi, non influenza le matrici ortofrutticole coltivate nell’area oggetto di studio. Quanto detto lascia presupporre che non ci sia, per i Cov (le sostanze volatili cancerogene, ndr), un passaggio diretto di contaminazione dalle acque alla pianta e di conseguenza alla parte edibile della pianta stessa».

«A contatto con l’aria, le sostanze cancerogene volatili vaporizzano – sottolinea De Biase – Stiamo ora verificando che cosa succede nelle serre. A novembre avvieremo i primi esami. Nel frattempo, comunque, continuiamo a monitorare tutti i prodotti che crescono nei 2mila ettari».


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