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Le #mafie non sono un prodotto culturale del #Sud. Ma la disperazione sociale le legittima
21 Set 2015 08:38

Proprio quando mi accingevo a scrivere qualcosa – la prima cosa peraltro – per questo blog, sono capitato sul sito de “la Repubblica Napoli”, attratto da un articolo sul “dibattito” tra la presidente della commissione Antimafia, Rosy Bindi,  il sindaco di Napoli, de Magistris, et alia.

Quale occasione peggiore – mi son detto – per iniziare a scrivere qualcosa sul Sud?

Il dibattito intorno all’origine delle mafie, e la discussione sulla relazione mafia-società meridionale non sono di certo nuovi. I termini della disputa sono antichi e un poco pure consunti. Storia o biologia? Forse cultura… o – peggio – mentalità? Cancro sociale o prodotto sociale? Manifestazione patologica o fisiologica? Vittime o responsabili?

Il dibattito è in perenne svolgersi. Lo si sente ogni volta che Saviano scrive qualcosa sul Sud, lo si nota nelle discussioni intorno alla cosiddetta “Terra de Fuochi”, lo si legge sui giornali, lo si ascolta nei discorsi accademici. Lo vedo in atto io, tra i ragazzi e le ragazze, quando vado a raccogliere dati/discutere nelle scuole campane. I termini sono sempre gli stessi. Da un lato, le mafie sono descritte come un prodotto del tessuto sociale e culturale del meridione, un prodotto causato da tradizioni culturali tipiche di quelle zone. Dall’altro, nominare le mafie è un’offesa al buon nome del Mezzogiorno…, i problemi veri sono altri (disoccupazione, sottosviluppo, etc.).

Insomma, parlare di mafie è stigmatizzante (ci sono anche persone oneste al sud!). Ma non parlarne è stigmatizzante pure (le mafie esistono, non copriamoci gli occhi!). Il conflitto riflette una tensione sociale profonda tra un’apparente eccezionalità del Mezzogiorno, e la sua normalità, come discusso recentemente durante un simposio sulla cosiddetta Questione Meridionale tenutosi all’Università del Kent.

Entrambi i termini del dibattito sono in qualche modo limitati.

Le mafie non sono parte della “storia profonda”, della “cultura” del Mezzogiorno. Non ne sono nemmeno un elemento costitutivo. Nessuna forma di organizzazione sociale può emergere dalla sola cultura. Se non altro perché “la cultura del Mezzogiorno”, intesa come un omogeneo monolite, non esiste. Ciò che esiste è una serie di codici culturali caratterizzati da scarsa consistenza ed alta conflittualità, ciascuno parte del sistema di pratiche di uno specifico sotto-gruppo (la classe media, il proletariato, gli uomini, le donne) ed intrecciato a problemi di risorse, distribuzione del lavoro, etc.

Usare il concetto di cultura come se si trattasse dell’essenza di un intero popolo è solamente un modo per reintrodurre velatamente nel discorso la nozione, altrimenti sanzionata, di razza. Razza camuffata da tradizione. Un modo per oscurare più che chiarire.

Le mafie sono meglio comprese come gruppi di poteri caratterizzati da forti interessi economici e politici. La loro origine risale a processi di formazione dello stato, ed al ruolo che certi gruppi avevano nel mediare il potere tra gente comune e l’élite. Lo stato Italiano ha avuto ruolo forte nel fornire la mafia di strumenti e mezzi tramite i quali perdurare sin ad oggi. Infatti, se è vero che le mafie sono originate al Sud, è pur vero che è al Nord che molte delle loro attività vengono messe in atto, così come al Nord risiedono molti dei contatti politici. Se esistesse una cultura del Sud che causa la mafia, beh … questa deve essere molto simile alla cultura del Nord.

Chiarito questo, passiamo alla seconda posizione. Quella in cui solo nominare le mafie in relazione al Mezzogiorno fa “saltare gente sulla sedia”.

Le mafie non interagiscono solo con la politica. Esse devono anche mantenere il controllo sul loro territorio di origine, per gestire i propri traffici, reclutare nuovi affiliati, o semplicemente esercitare potere. Su cosa si basa questo controllo territoriale?

Paura e intimidazione sono alcuni dei meccanismi più immediati per spiegare l’operato delle mafie. Ma questi da soli non bastano. Il controllo di un intero territorio non può reggersi solamente sulla minaccia di violenza. Deve anche aver una componente di legittimità.

Le mafie, spesso (ma ovviamente non solo) acquisiscono tale legittimità tramite la manipolazione (selettiva e strategica) di alcuni di quei codici culturali che menzionavo prima. Con il mio gruppo di ricerca, abbiamo esaminato alcuni di questi codici, e la relazione fra questi codici e la percezione delle organizzazioni criminali tra i giovani adolescenti (16-19 anni) del Sud e del Nord.

I risultati mostrano che il modo in cui i partecipanti concettualizzano la mascolinità, vale a dire in che misura, secondo loro, un “vero uomo” è definito dall’essere un duro, e dalla capacità di difendere con la violenza la sua famiglia, proprietà, e reputazione, tale concettualizzazione, dicevo, della mascolinità è associata alla percezione dei gruppi criminali, e alle intenzioni di opporsi collettivamente alle mafie.

Questa associazione funziona in questo modo. Più i partecipanti approvano l’uso della violenza maschile per rispondere ad offese, gestire i conflitti, etc., più è probabile che essi riportino una visione positiva delle organizzazioni criminali, esprimendo anche una minore intenzione di opporsi collettivamente alla mafia. Tale associazione persiste quando si controlla statisticamente per l’effetto di altre variabili quali genere, età, percezione del rischio etc.

Questi valori legati ad un’eccessiva ed esagerata mascolinità, la prontezza nell’usare la violenza e difendere la reputazione fanno parte del repertorio comunicativo delle organizzazioni criminali, del modo in cui strategicamente questi gruppi mirano a costruire la propria immagine.

Ovviamente, la relazione funziona anche all’inverso. Più questi valori sono contestati e rigettati, più negativa è la percezione che i partecipanti riportano delle mafie, e più alta la probabilità che essi esprimano le intenzioni di opporsi alle organizzazioni criminali.

Questi dati iniziali sono un esempio di come le organizzazioni criminali possono utilizzare alcuni dei codici presenti in un determinato contesto (in questo caso, valori legati alla mascolinità), e sfruttarli per ottenere legittimità tra alcuni strati della popolazione. Allo stesso tempo, essi offrono una preliminare indicazione su quali tipi di specifici valori (piuttosto che il monolite-cultura) si potrebbe intervenire per iniziare cambiamento.

La mafia non è un elemento costitutivo del Sud. Non è un prodotto di una cosiddetta cultura meridionale. Caratterizzarla in questo modo oscura le reali ragioni d’essere di questi gruppi. Questo va detto forte e chiaro. Al contempo, tuttavia, è imperativo non nascondere la testa sotto la sabbia, e capire quali ideologie e valori ne possono favorire l’operato in specifici luoghi e tempi.


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