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#QuestioneMeridionale vuol dire vivere in una parte d’#Italia con meno #diritti e #opportunità
18 Set 2015 06:10

La questione meridionale non è una bizzaria nostrana.

È un tema fondamentale per capire presente e futuro non solo dell’Italia, ma dell’intera Europa.

Le grandi crisi, quella italiana e quella comunitaria, l’hanno messo e continuano a metterlo in luce con estrema chiarezza. Alla base dell’Italia repubblicana c’è un grande patto costituzionale, che conserva oggi, a quasi 70 anni di distanza dalla sua formulazione, tutta la sua validità. Disegna un paese unito, i cui cittadini hanno precisi doveri e precisi diritti, da realizzare progressivamente. Diritti e doveri uguali per tutti, indipendentemente dal luogo dove per fatalità si nasce e dal luogo dove si risiede.

Per questo vi è una “questione” meridionale: perchè una parte importante dei cittadini che vive nelle regioni più deboli del paese gode di diritti di cittadinanza inferiori in quantità e in qualità (dalla salute all’istruzione); vive in territori dotati di una infrastrutturazione, materiale e immateriale, economica e sociale, inferiore in quantità e in qualità; ha minori possibilità di acquisire un lavoro dignitoso (in misura estrema se si è donne) attraverso il quale garantirsi reddito e realizzazione personale.

Per decenni l’Italia ha mirato ad una maggiore uguaglianza sostanziale fra i suoi cittadini; con diversa intensitá nelle diverse fasi storiche; con errori e insuccessi, ma anche con evidentissimi progressi. Poi, ancor più con il nuovo secolo, questa tensione si è ridotta, fin quasi ad annullarsi. La grande crisi italiana, con il fortissimo rallentamento della crescita, le difficoltà del bilancio pubblico, l’incertezza del futuro, ha portato all’emergere di egoismi, di territori e di gruppi sociali: lo scopo dell’agire politico è divenuto il preservare i propri livelli di benessere di “comunità”.

Come ha scritto tempo fa un’ex Ministro dell’economia, agli italiani non interessa più il sistema sanitario nazionale ma il funzionamento del proprio ospedale. Il problema diventa ritagliarsi una fetta maggiore di una torta che si riduce, non provare a farla crescere, con mutuo beneficio di tutti. Questa tendenza è molto accelerata nell’ultimo quadriennio: la grande austerità italiana è stata e rimane strabica, attraverso un mix di tagli alla spesa e di aumento della tassazione locale colpisce assai più le aree più deboli del paese.

Ma se questo è effetto della crisi, è contemporaneamente causa della sua persistenza: se l’Italia rinuncia a garantire diritti e sviluppo a tutti i cittadini, indipendentemente dall’estrazione sociale e dal luogo dove vivono, tarpa le ali alla sua crescita: non investe nelle risorse di cui dispone, non le utilizza al meglio. Se il Sud non cresce, non è solo un problema dei meridionali: è l’intero sistema economico nazionale che zoppica sempre più. Alla base dell’Europa comunitaria c’è il sogno, realizzato, di un continente che vive libero e in pace; e nel quale il consenso di tutti i cittadini al condividere sempre più istituzioni e politiche comuni è garantito da una crescita costante del loro benessere. E c’è il sogno, realtà fino a qualche anno fa, di un continente prospero: nel quale, attraverso una integrazione economica sempre maggiore, lo sviluppo di ogni sua parte crea sviluppo anche per le altre, in un potente circolo virtuoso. Il contrario del mercantilismo nazionalista, alla base di secoli di guerre e di disastri. Fra i suoi principi c’è la coesione territoriale, e fra le sue politiche più importanti quella, appunto, di coesione: per realizzare il il diritto di tutti gli europei, quali che siano le regioni e le nazioni dove vivono, ad godere di più pieni diritti civili e sociali, a vivere in territori meglio infrastrutturati, ad avere la speranza di un lavoro dignitoso.

La grande crisi sta profondamente modificando questo senso profondo dell’Europa: il prevalere degli interessi e della filosofia di un nucleo di paesi più forti (la Germania e i suoi più stretti alleati) ha prodotto una realtà, dal 2011 in poi, in cui le regole della casa comune sono sempre più orientate a garantire il benessere di alcuni europei, ma non più di tutti. Da un lato si impone ai “debitori” (fra cui l’Italia) un’austerità sfrenata e permanente, che ne limita enormemente le possibilità di sviluppo; dall’altro si rinuncia a politiche più espansive nei paesi più forti, che rilancerebbero l’intera economia continentale, perseverando in un’espansione senza limiti dell’export; il cui successo è garantito dalla moneta comune, e dall’assenza di una rivalutazione riequilibratrice. Come in Italia, l’idea di garantire il benessere di alcuni ma non di tutti, anche in Europa si rivela fallace; come mostrano i più recenti dati sull’economia tedesca, se non cresce il Sud d’Europa la prosperità del Nord è a rischio, affidata alle incertezze dei mercati asiatici. E se persevera questa politica economica europea l’Italia non potrá purtroppo che sperare in qualche decimale di PIL in più. Ma questo non fa mutare l’indirizzo prevalente; anzi, come dimostrano da ultime le dichiarazione del Presidente della Bundesbank, si mira a regole che rendano questo stato di cose permanente; si rinuncia a innovazioni, come gli schemi europei contro la disoccupazione, che vanno nel giusto verso.

Benissimo ha fatto Romano Prodi a denunciare questa situazione: ricordando che se l’Europa non riesce più a garantire benessere a tutti i suoi cittadini, prima o poi molti le volteranno le spalle. Nei rari commenti, la questione meridionale è spesso vista come tema di minoritá civiche, o di cattiva capacitá di governo locale. Temi importantissimi, intendiamoci. Ma che non devono far perdere di vista il grande tema di fondo: la questione meridionale, in Italia e in Europa, riguarda le regole che possono consentire alle diverse parti, di uno stato nazionale o di un’unione continentale, di convivere in armonia, di integrarsi e di determinare così con il benessere e lo sviluppo dei Sud, il benessere e lo sviluppo dei Nord. E viceversa. Riguarda le politiche in grado di rilanciare, in modo sostenibile nel tempo, tenuta sociale, domanda interna e investimenti produttivi. La gravissima crisi del Mezzogiorno degli ultimi anni non cade dal cielo: è il frutto delle politiche dell’austerità asimmetrica, in Europa e in Italia. Il punto non è mettere una toppa al Mezzogiorno, ma tornare a riflettere sulla grande questione meridionale: tutti, anche gli italiani centrosettentrionali: Nord in patria, ma Sud in Europa.


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