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Vi racconto la storia di un grande giornalista del Sud, Alberto Jacoviello
20 Giu 2013 12:13

Non ho potuto partecipare all’intitolazione del Palazzetto dello sport nella sua Lavello alla memoria di Alberto Jacoviello, figura di altissimo livello del giornalismo nazionale che sempre porto’ nel cuore la Lucania.

Dell’assenza alla manifestazione me ne dolgo e per piacevole contrappasso proverò, molto sommariamente, a tracciarne un profilo biografico cercando di offrire un contributo di memoria di stringente attualità’.

Egli era figlio di contadini e il padre grazie ai decreti Gullo e alla fervente militanza comunista riuscì a riscattare quelle terre appartenute ai feudatari di zona facendone avamposto dell‘emancipazione sociale che animo’ le nostre campagne nell’immediato dopoguerra. Una tragica conseguenza segnò il suo fervore intellettuale. Da giovinetto fatale fu per lui in campagna un banale incidente. Un contadino imbracciando un fucile sparo’ un colpo fortuito che recise per sempre il suo braccio. Alla disperazione familiare il capofamiglia reagì con la saggezza dell’utilità’. Quel braccio perso andava recuperato piantando sapienza nell’intelletto, e si decise così di far studiare il giovane Alberto. Egli seppe convivere tutta la vita con quel dannato incidente.

Inviato internazionale di prestigio e brillante uomo di sport che aggredì la disabilità cimentandosi in attività marine e montane, mai piegato a quell’handicap. Universitario a Napoli entrò in contatto con quell’effervescente area culturale giovanile che declina i nomi di Rosi, La Capria, Napolitano, e tanti altri che si ritrovarono a scrivere pagine memorabili su riviste e fascicoli che ornano in gloria una bella stagione meridionalista.

Un apprendistato che a lui valse la palestra de La Voce e poi il passaggio alla mitica Unità degli anni Cinquanta che sotto il polso fermo di Mario Alicata forgiò il miglior giornalismo militante di quegli anni. Il talento era notevole e anche l’affidabilità ideologica doveva essere granitica per le consegne che gli arrivarono scalando mansioni gerarchiche di altissimo livello che lo portarono a guardare la Storia nel cuore del suo divenire.

È a Budapest nella tempesta della rivolta del 1956. Tormentato da quegli avvenimenti le sue cronache non ebbero l’ardire di seguire la verità dogmatica dei teppisti, ma comprese che quella era rivolta di popolo e dai valori libertari. Ne abbiamo fedele riscontri nei ricordi dell’insospettabile Indro Montanelli, che al suo personaggio dedicherà un memorabile ritratto in un dramma teatrale di successo che diventerà anche adattamento cinematografico. Infatti se vi capita di vedere “I sogni muoiono all’alba” il tormentato giornalista Antonio interpretato dal bravo Aroldo Tieri ha una mano artificiale che in maniera inconfondibile segna la sottolineatura montanelliana verso il nostro autorevole indagato. Jacoviello che aveva seguito le illusioni internazionaliste resecontando grandi avvenimenti, come la Conferenza internazionale per la pace in Indonesia,si troverà ancora a strappare con l’ortodossia.

Accadde da inviato in Cina alla prese con la Rivoluzione culturale, ne recepì il fervore travolgente (forse in questo pesò la sua origine familiare contadina) ma il Partito e la direzione per riparare alle forti critiche suscitate decise di rimuoverlo dall’incarico della redazione esteri. Rimase nel giornale e nel partito molto soffrendo, tipico della tempra di quella generazione di comunisti come i carabinieri, per cui valeva il motto dell’obbedir tacendo. Sarebbe interessante un lavoro filologico dei suoi reportage nel mondo censurati dalla gerarchie di partito e mai pubblicati. Nella sbornia maoista fu interessante complice la sua prima moglie Maria Antonietta Maciocchi che sarà espulsa dal Pci e protagonista straordinaria dell’eresia libertaria femminista e radicale.

La resistenza complicata di Alberto invece sarà premiata nel pieno della stagione berlingueriana da un incarico di altissimo profilo. Sarà egli infatti il primo corrispondente di un quotidiano comunista negli Stati Uniti. Una sorta di ambasciatore del Pci nella prima distensione italiana post guerra fredda avvenuta penso con il beneplacito di Giorgio Napolitano , ministro degli esteri ombra di Botteghe Oscure. Quelle cronache sono anche dense di suggestioni giornalistiche molto valide e riuscite che non sfuggirono ad Eugenio Scalfari che nella continua pesca dalla stampa comunista, non esitò a far suo Jacoviello come prima penna degli Esteri della Repubblica. In quella redazione trovo’ ad attenderlo il suo grande amico Mario Pirani e le nuove cronache sul mondo che cambiava.

Impareggiabile il racconto cantato come una Marsigliese sulla vittoria di Mitterand alle presidenziali. Raccontano che era come un bambino felice quando fu inviato a Mosca come corrispondente di Repubblica. Saranno articoli memorabili che comporranno la raccolta “Lettere dalla nuova Russia” che ben rivelano gli anni di grande speranza riformatrice di Gorbaciov. Rientrò nel ruolo da editorialista degli esteri e il suo nome campeggia nell’almanacco premiale del Meridiano dedicato al “Giornalismo Italiano“.

Rimase legato al suo mestiere e alla sua terra. Il compianto Franco Sernia (era suo parente acquisito) mi raccontò di quando lo accompagnò già malato in un reportage in un paese lucano. Aveva letto un’agenzia che parlava di giovani morti per overdose in quella sperduta contrada della sua infanzia e voleva capire come era avvenuta tanta mutazione antropologica. Fece anche politica ma su questo non sono capace di commentare. Non ho gli elementi per capire perchè il Pds non riuscì a farlo eleggere parlamentare. So dire con certezza che non si fece conquistare dal capitalismo instaurato a Melfi. Si preoccupo’ del vento della sua terra natale che poteva essere deviato dal prato verde della Sata. Un testimone raccolto dal nipote Vitantonio che con la stessa caparbietà avversa oggi il gigantismo dell’eolico.

Alla morte fu commemorato da Giorgio Napolitano. Per sua volontà chiese di essere tumulato nella sua Lavello. Tornava a quella terra che i compagni del padre avevano strappato agli agrari. E dove la perdita di un braccio aveva fatto nascere una delle migliori penne d’Italia. Alberto Jacoviello. Comunista e lucano. La Basilicata e l‘Italia compirebbero un sacrilegio se lo dimenticassero.

Foto da  archiviofoto.unita.it


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