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Docente pugliese scrive a Draghi e Bianchi: la scuola sia studente-centrica
19 Giu 2021 07:49

  • La Lettera aperta del docente Daniele Manni
  • Una scuola capace di mettere al centro gli studenti
  • Alcune proposte per migliorarla

Gent.mi Primo Ministro Draghi e Ministro Bianchi,

mi chiamo Daniele Manni e sono un docente di scuola superiore presso l’Istituto “Galilei-Costa-Scarambone” di Lecce, insegno informatica da 35 anni e negli ultimi 15 incentivo e pratico con gli studenti l’auto-imprenditorialità.

Ora che l’anno scolastico è terminato e siamo tutti proiettati a re-immaginare quello entrante (anche in virtù di un potenziale periodo post-Covid), mi permetto di esprimere la mia personale visione di scuola del (prossimo) futuro. In una parola la immagino “studente-centrica”, ossia capace di vedere e considerare (finalmente) ogni singola studentessa e ogni singolo studente al centro dell’attività didattica ed educativa. Oggi, nella stragrande maggioranza dei casi, non c’è lo studente al centro, c’è il programma da svolgere, ci sono le discipline, ci sono le lezioni uguali per tutti, ci sono le verifiche ed i voti, non c’è lo studente.

Sono diversi anni che, personalmente, cerco di praticare nel concreto quest’idea di scuola in tutte le mie classi e con i miei giovani studenti e, da qualche tempo, tentiamo di applicarla anche insieme ai colleghi dell’istituto. Negli ultimi tempi ho avuto modo di raccontarla in alcune interviste e negli incontri e seminari a cui mi onoro di aver partecipato e, dato l’ampio e unanime consenso ricevuto dagli addetti ai lavori e da chi era all’ascolto e, soprattutto, considerati i significativi risultati e benefici degli studenti, ho pensato fosse opportuno almeno esporla e farla conoscere a chi ha la massima responsabilità e competenza in termini di Istruzione ed Educazione in Italia.

Comprendo quanto possa essere complesso smuovere l’apparato scolastico italiano, figuriamoci rivoluzionarlo, ma si deve pur cominciare da qualche parte.

Essendo una lettera e non un trattato, sarò sintetico e andrò dritto al punto.

La scuola “studente-centrica”:

  • valorizza, incentiva e accelera gli studenti meritevoli e impegnati;
  • ha la capacità di “attrarre” i distratti, di motivare i meno interessati, di supportare i più fragili, di offrire loro una scuola a misura delle loro passioni e interessi;
  • contribuisce a rendere le future generazioni più “felici”, grazie all’approfondita e curata opera di orientamento consapevole (“Fai quello che ami e non lavorerai un solo giorno della tua vita” diceva Confucio).

La scuola “studente-centrica” non vede il Consiglio di Classe riunirsi esclusivamente tre o quattro volte all’anno per deliberare voti, debiti e bocciature, ma prevede frequenti e brevi incontri online, alla necessità, in cui i docenti, come un’equipe medica, si confrontano e concordano e sperimentano strategie e azioni “ad personam”, allo scopo sia di aiutare i più “deboli” a trovare la scaletta per salire a bordo che di fornire ai più “forti” il carburante potenziato per volare più in alto.

La scuola “studente-centrica” parte già dai 9/11 anni e prosegue fino ai 18. Agisce e opera su tre nuovi fronti, i quali non sostituiscono la didattica per come la conosciamo, ma la integrano e l’aiutano ad essere più soggettiva:

  • La scuola come “atelier di stimoli” per conoscere una molteplicità di mondi;
  • La scuola che “ascolta” gli interessi e le curiosità dei singoli studenti;
  • La scuola come “palestra” in cui sperimentare e crescere nelle varie aree di interesse.
  1. In qualità di atelier di stimoli, la scuola potrebbe (e dovrebbe) offrire a tutte le alunne e a tutti gli alunni l’opportunità di conoscere un’infinità di mondi che compongono la realtà, il mondo delle arti (musica, visive, teatro, grafica, fumetti, …), della tecnologia, delle scienze, dell’imprenditoria, della moda, dello sport, dei goal dell’Agenda 2030, della comunicazione, dell’artigianato, dell’agroalimentare, etc., attraverso le testimonianze di chi (meglio se giovani, ancor meglio se giovanissimi) in questi mondi ci vive, ci lavora e ne è affascinato e appassionato. Le testimonianze possono essere “vive”, con testimonial in presenza, o digitali (video-presentazioni, tutorial, …), raccontate con la tecnica dello storytelling e rapportate a casi e vissuti reali.
  2. I racconti dei Testimonial hanno il compito di lanciare messaggi e opportunità e dare la possibilità alla scuola, conseguentemente, di essere attenta alle curiosità degli alunni, mettendo in campo semplici sistemi di riscontro e/o di indagine per cogliere quali “mondi” hanno sollecitato l’attenzione e l’interesse di ogni singolo studente, quale racconto ha fatto accendere la lucina nei loro occhi.
  3. Così come una palestra mette a disposizione dei propri utenti attrezzature e coach, allo stesso modo la scuola potrebbe (e dovrebbe) poi fornire gli strumenti, i mezzi e le professionalità per avviare laboratori del “fare”, affinché gli alunni possano conoscere più approfonditamente ogni “mondo” che ha sollecitato la loro curiosità. Sperimentando e operando “hands on”, gli alunni avranno modo di verificare se l’interesse è realmente fondato o meno, se non lo fosse, se ne testa un altro.

Le ragazze ed i ragazzi che partecipano a questi percorsi si ritroveranno già a 13 anni (alla fine della terza media) con un piccolo bagaglio, non solo di conoscenze, ma anche di esperienze e competenze che faciliteranno non poco le personali e soggettive scelte di percorso futuro (orientamento consapevole).

La scuola “studente-centrica” aiuta e sprona le alunne e gli alunni ad essere protagonisti proattivi della propria vita e del proprio futuro e non semplici “utenti” o “spettatori”. Per la prima volta si sentiranno chiedere a partire dai 9/11 anni se è più “figo” giocare ai videogiochi o progettarne uno a cui ci giocano gli altri, se è più “figo” seguire uno youtuber o creare contenuti originali ed essere seguiti, se è più “figo” ammirare capi d’abbigliamento online o imparare a disegnarli e realizzarli, se è più “figo” assistere a episodi di bullismo o creare un movimento giovanile per contrastarlo, se è più “figo” lavorare alle dipendenze o essere imprenditori di se stessi.

Nella vita ci sono tre posizioni lavorative: si può essere dipendenti, professionisti o imprenditori. Il sistema scolastico attuale è (diciamo) perfettamente tarato per “creare” dipendenti (qualsiasi percorso scolastico) e professionisti (lauree professionali), mentre è carente (se non del tutto latitante) nel far crescere un imprenditore. Un ragazzo o una ragazza che a 13 anni voglia diventare imprenditore / imprenditrice, quale scuola potrà / dovrà scegliere? Personalmente conosco bene i “tecnici economici” e credo di non sbagliare nel dire che tutto è ancora tarato per diplomare “ragionieri” (da quanto tempo non sentivamo questo termine?), non certo per instradare i giovani verso l’imprenditorialità. Persino i “professionali” hanno un impianto per diplomare giovani da “assumere” e non certo per fornire le competenze per avviare un’officina, un laboratorio o una nuova attività. Una buona e sana “Educazione all’Imprenditorialità” a partire dagli 11 anni e da prevedere in ogni indirizzo di scuola superiore non può che fare del bene, ai giovani e al Paese.

La scuola “studente-centrica”, attraverso i racconti dei Testimonial e, soprattutto, attraverso i percorsi esperienziali nei vari ambiti della realtà, aiuta gli studenti inoltre a conoscere, sperimentare ed acquisire molteplici competenze trasversali, le note “soft skills” tanto richieste ai giovani. Tra queste, l’allenamento a risolvere problemi (problem solving), la capacità di lavorare in gruppo (teamwork), la resilienza, la creatività (a che età oggi smettiamo di “insegnare” agli studenti di essere creativi? A 6/7 anni?), la gestione dell’errore e del fallimento (failure management) e, soprattutto, la fiducia in sé e nelle proprie capacità.

La scuola “studente-centrica” ha anche il potenziale di azzerare la dispersione o ridurla drasticamente. Non è difficile infatti immaginare che, se una ragazza o un ragazzo che oggi non trova alcuno stimolo a scuola, che non si sente per nulla nel suo ambiente, che la frequenta solo perché è costretto dall’obbligo scolastico o dalla legge non scritta dei genitori e della società secondo cui “bisogna almeno prendere un diploma”, dovesse invece trovare nella sua scuola, parallelamente alle discipline d’ordinamento, anche gli strumenti, i mezzi e le professionalità con cui poter esprimere i propri talenti e passioni, allora quella ragazza e quel ragazzo avrebbero sicuramente un (forte) motivo in più per non abbandonare gli studi.

Infine, data la centralità e l’importanza che merita, mi permetto di ripetere ancora una volta un concetto semplice. Una ragazza ed un ragazzo che sceglierà di crescere, specializzarsi e, un domani, di lavorare in un ambito che lo appassiona e lo attrae sarà più felice, sarà migliore e contribuirà a realizzare un mondo migliore, per tutti.


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