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La melma nera che può essere una bomba ecologica
24 Ott 2013 08:10

Tutto ruota intorno ad Antonio Moscardino, arrestato nell’Operazione Mosca per traffico di rifiuti tossici

Conoscono la zona, hanno notato gli strani traffici, il ‘via vai di mezzi’, soprattutto di notte. Ma non parlano: “tanto è inutile, chi ti ascolta”. L’acqua del posto non la bevono: “è buona, ma preferiamo bere l’acqua confezionata”. Si sentono rassegnati, perdenti. Sconfitti. In quel campo, nella masseria Lucenteforte, nella Bonifica di Venafro, c’è qualcosa di particolare, di strano. Si vede ad occhio nudo. Non sembra un normale terreno agricolo. Quando piove l’acqua si ferma in superficie e forma dei grossi pantani. Molte chiazze aride, teli di plastica che escono dal sottosuolo. Pezzi di ferro, scarti di ghisa disseminati sull’ampio appezzamento di terra. “Oggi è a riposo”, spiega Ernesto Nola (proprietario, insieme al fratello Francesco). Provengono da una nobile famiglia di Venafro, proprietari terrieri. La madre, la signora Antonietta Guerini, è l’usufruttuaria dell’appezzamento ‘a riposo’. Un terreno con una storia particolare, ancora poco chiara. Cosa è successo negli anni passati in quel posto? Cosa è stato trasportato, cosa è stato interrato? Ci sono versioni completamente differenti. Una signora ha raccontato che suo figlio, all’età di sei anni, andò a finire con il piede dentro una buca, “…bruciandosi. Ha ancora le cicatrici”. Pronta la risposta del proprietario Nola: “non mi risulta, evidentemente sono cose che qualcuno dice così per rivangare cose che attualmente stanno succedendo nel casertano”. Perché proprio nel casertano? Nel 2003, a Sesto Campano, viene tratto in arresto un certo Antonio Caturano, per trasporto di rifiuti tossici spacciati per fertilizzanti, destinati alla concimazione dei terreni agricoli. Pina Picierno (Pd), nell’interrogazione parlamentare del novembre 2010, parla di un “vero e proprio ‘cimitero dei veleni’, creato in oltre trent’anni di sversamenti abusivi”, che si estende “in un quadrilatero compreso tra la statale Bifernina, la Trignina, le province di Isernia e Campobasso”. Sui Caturano aggiunge: “il nome di questa ditta è stato fatto dal pentito Raffaele Piccolo, braccio destro e cassiere del gruppo Schiavone fino al 2009, a proposito di un elenco di imprese prestanome o socie in affari del clan. Anche Emilio Caterino, collaboratore di giustizia del clan Bidognetti, cita la ditta Caturano”. Niki Vendola, nell’interrogazione del 2004, scrive che: “nel comprensorio di Sesto Campano e nelle vicinanze del cementificio tempo fa è stato fermato ed arrestato, con un carico di sostanze tossiche e radioattive, tale Antonio Caturano di Maddaloni (Caserta)”. Giovanni Ragosta di San Giuseppe Vesuviano, arrestato per truffa ai danni dello Stato, dal 26 luglio 2002 è stato l’amministratore unico della Fonderghisa Spa (una delle prime aziende del nucleo industriale di Isernia-Venafro, una delle fonderie più apprezzate in Europa), società dichiarata fallita nel 2005, dal Tribunale di Isernia. Sempre la Picierno nell’interrogazione del 2010 parla dell’area industriale di Venafro, “dove sorgono gli stabilimenti dismessi della Fonderghisa, azienda della Gepi rilevata dall’imprenditore Ragosta; sulla fonderia grava il sospetto che vi siano state bruciate tonnellate di rifiuti di ogni genere, compresi automezzi militari impiegati nell’ex Jugoslavia e contaminati da uranio impoverito”. E proprio con la Fonderghisa, il terreno ‘a riposo’, ha diversi legami. Lo confermano i vari testimoni ascoltati. Tutto sembra ruotare intorno a un certo Antonio Moscardino di Ciorlano (Ce), classe 1942, per molti “una persona poco affidabile”. Arrestato il 19 marzo 2004 (scarcerato il 22 aprile dello stesso anno) per traffico illecito di rifiuti speciali.

Il testimone, la ‘melma nera’ e la sostanza gelatinosa verde

Ma partiamo dalla masseria Lucenteforte. È a pochi minuti dalla borgata Triverno (Pozzilli), a pochi passi dalla chiacchierata (almeno in passato) variante di Venafro, in provincia di Isernia. Sembra abbandonata, con diverse piante di ulivo (“vengono raccolte e lavorate”, secondo un testimone).

È stato messo tutto a posto” – ha confermato Ernesto Nola – “erano delle buche scavate, poi sono state riempite sotto la direzione dell’Arpa. Un problema risolto da tempo”. Ma il ‘terreno a riposo’ ha qualcosa di strano, di particolare. Oltre agli scarti di ghisa, ai ferri, ai teli di plastica impiantati nel terreno sta uscendo una melma. Una sostanza gelatinosa verde. “A me non risulta, ma andrò a controllare. Faccio il professore universitario a Napoli, torno a Venafro soltanto il fine settimana”. Un prezioso testimone racconta la storia del terreno, la sua versione. Dalle buche scavate per “migliorarlo” alla presenza dei camion del gruppo Caturano (“Non so cosa scaricava questo Caturano, ho visto i camion che giravano in zona”). Parla della prima azienda, “la ditta Medici, che scavò”, della seconda “dopo che Medici fallisce, Moscardino fa la discarica”.

Cioè? “Scarico della Fonderghisa, roba acciaiosa, ferro. Vedevo che scaricavano della melma nera e dentro ci stavano pezzi di ferro, pezzi di ghisa”. Ecco che ritorna, come d’incanto, Antonio Moscardino, “che ha riempito. Quando è intervenuto qualcuno, non so chi, è stato intimato al Moscardino di togliere quella porcheria e ripristinare la situazione di prima. È intervenuto Di Nardo per togliere quello che ci stava…”. La terza azienda coinvolta per mettere a ‘riposo’ il terreno. O una discarica abusiva? Nel 2008 la Dda di Campobasso scrive: “il Molise si è rivelato non zona di transito, ma punto finale di arrivo per lo smaltimento dei rifiuti pericolosi, terra idonea ad occultare discariche abusive con la compiacenza di alcuni proprietari di cave e terreni”. Nella relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafia (Dna), del 2010 si apprende che da tempo: “si registrano tentativi di infiltrazione da parte di appartenenti a qualificati sodalizi attivi nelle Regioni limitrofe ed interessati al settore dell’illecito smaltimento dei rifiuti”. Nello strano ‘terreno a riposo’, 23 anni fa, vennero scavate diverse e profonde buche. “Scavi a quattro metri ed esce l’acqua. Veniva scavato ancora più sotto. Avranno scavato sei o sette metri”. Le parole del testimone sono confermate da quelle di Nola: “questo prelievo di misto mi fu chiesto dalla ditta iniziale (Medici, ndr), che mi disse: ‘vi tolgo 50 centimetri’, poi è andato sotto di due, tre o quattro metri. Perciò l’ho dovuto denunciare, perché mi doveva ripristinare il terreno. Invece, nel mese di agosto, si allargò”.

“Pseudo imprenditori d’assalto”

Una nebbia fitta ha avvolto questa vicenda. In passato ci sono state segnalazioni, denunce, sopralluoghi, sequestri, analisi, carotaggi, una fitta corrispondenza tra Enti, relazioni, conferenze di servizio, attestazioni. Tutto accompagnato dal totale silenzio. “Tutti hanno visto, tutti sapevano, ma nessuno ha fatto niente”. Oltre non vanno, si fermano al generico ‘tutti’. Chi sono questi tutti? Cosa facevano, cosa hanno fatto? Cosa è stato interrato? Che fine hanno fatto le denunce di Nola? “Nessun processo pubblico, nessun dibattimento”, ha dichiarato il legale del proprietario. Oggi cosa c’è sotto quel terreno? “Tutta una cosa che è stata risolta e che è stata messa a posto”. Non sembra essere chiaro nemmeno il proprietario Ernesto Nola, fratello dell’altro proprietario Francesco. Cugini di Vittorio Nola, presidente del Consorzio di Bonifica della Piana di Venafro. Ernesto Nola (“io ho firmato tutti i contratti”) si sente “danneggiato da pseudo imprenditori di assalto”. È lui che spiega: “Sono stati fatti degli scavi e sono stati riempiti. Con l’Arpa è stata fatta tutta la messa a posto”. Tutto inizia nel 1990, con la prima ditta, la Bimed di Alessandro Medici. “Vengo contattato dalla Bimed, c’era questo terreno pietroso e feci un contratto per circa 3/4mila metri. L’ho dovuto citare, sono andato dai carabinieri per fermarlo. Questo qua (Medici, ndr), sapendo che io non c’ero, fece queste buche. Sforò, si allargò. Quasi per un ettaro di terra. Lui doveva mettere a posto”. Ma che significa che la ‘cosa è stata risolta’? “Che è stato messo tutto a posto. Avevano fatto dei prelievi di terra, di misto ghiaia e avevano lasciato tutto scoperto. Poi è stato riempito e a un certo punto hanno detto che c’era del materiale che non era idoneo, quando invece è stato autorizzato”. Diverse segnalazioni partirono dal Wwf ‘Le Mortine’ di Venafro, presieduto all’epoca da Emilio Pesino: “facemmo tante lotte, tante segnalazioni alle Autorità. In quella zona scaricavano di tutto, da allora non ho saputo più nulla. Il problema è che non si sa cosa è stato scaricato, non essendo stato fatto nulla di serio. Praticamente, a detta di molti, c’erano strani traffici. Sulla carta il problema è stato risolto, sicuramente restano i dubbi”. Diversi vicini ricordano dello strano ‘via vai di mezzi’. “A me – dice Nola – tutto questo non risultava, poi su queste cose ognuno dice la sua. La ditta che doveva ripristinare la cosa è fallita e ho dovuto cercare altre cose. Lei rivanga tutto un periodo triste, pensavo di fare una cosa buona, togliendo queste pietre di fiume in sostituzione di terreni buoni e, invece, mi son trovato con delle buche e poi ho dovuto chiamare un’altra ditta che riempisse e, Moscardino, lavorava con la Fonderghisa. C’è stata una conferenza di servizi, con la Regione, il Comune di Venafro e l’Arpa, che ha stabilito che tutto stava a posto. Ho ceduto a titolo gratuito questo materiale, mi dicevano di mettere il terreno buono. Invece hanno fatto un disastro, tutti questi buchi. Sono stato danneggiato da questi pseudo imprenditori d’assalto”.

Rimettere tutto in discussione

Come mai è uscita fuori questa cosa quando, praticamente, io sono stato obbligato a mettere tutto a posto, nonostante non fosse dipeso da me. Il problema è risolto, mi è costato un sacco di soldi. C’è stata la conferenza di servizi. Hanno chiuso tutto, tutto sta a posto. Perchè lei vuole rimettere tutto in discussione? Sono stato preso per fesso, ci soffro di questo, che non mi sia accorto che queste persone mi hanno turlupinato”. Ernesto Nola, il proprietario del terreno ‘a riposo’, si sente imbrogliato. Non si sente responsabile, parla di una situazione risolta da tempo. Per Nola ci sono i certificati, le conferenze di servizio, le attestazioni. Tutto è stato controllato, tutto è stato appurato. Perché, allora, rimettere tutto in discussione? Nel 1990 la ditta Bimed, dell’imprenditore Medici, “mi chiede di prelevare il mio terreno”. Medici, secondo Nola, si ‘allarga’. Non rispetta i patti. Scava, stupra il terreno, in profondità. “Erano rimaste solo le piante di ulivo”, dice un testimone. “La mia colpa – è Nola che parla – è che sono stato abbastanza ingenuo”. Nel 1995 compare Antonio Moscardino, con la sua ditta Rasmiper. “Contatto la ditta Moscardino, sempre con contratto. Aveva una ditta che si occupava di ripristino ambientale, doveva riempire le buche lasciate dalla Bimed. Moscardino cominciò a riempire con terreno buono, poi diventò, non so che cosa, alla Fondergisa e ci cominciò a mettere… scaricò qualche camion di questa terra di fusione, sabbia di fonderia. A un certo puntò fallisce pure Moscardino e io mi ritrovo con questi mucchi di terra”. Ma chi è Antonio Moscardino? “Aveva messo su – racconta Enrico Piergiovanni, ex direttore dello stabilimento Fonderghisa – un’attività di smaltimento. Aveva anche affittato dei capannoni di fianco a noi, doveva fare un’attività per smaltire dei rifiuti. Su Moscardino non mi faccia dire cose che non voglio dire, aveva altre attività. La Fonderghisa era, per lui. un granello di sabbia. Noi eravamo soltanto una piccola appendice”. La peritonite arriva con l’Operazione Mosca, “coordinata – scrive Roberto Saviano in Gomorradalla Procura della Repubblica di Larino nel 2004”. Grazie a questa Operazione “è emerso lo smaltimento illecito di centoventi tonnellate di rifiuti speciali provenienti da industrie metallurgiche e siderurgiche. […]. Quattro ettari di terreno a ridosso del litorale molisano furono coltivati con concime ricavato dai rifiuti delle concerie. Vennero rinvenute nove tonnellate di grano contenenti un’elevatissima concentrazione di cromo. I trafficanti avevano scelto il litorale molisano – nel tratto da Termoli a Campomarino – per smaltire abusivamente rifiuti speciali e pericolosi, provenienti da diverse aziende del nord Italia”. Nell’operazione compare questo strano personaggio, la “persona poco affidabile”, Antonio Moscardino. Sette ordinanze di custodia in carcere, quattordici indagati, quindici aziende coinvolte, cinquanta perquisizioni. Tonnellate di rifiuti provenienti da diverse aree industriali del Nord, pieni di arsenico, mercurio, cromo, rame, piombo e reflui tossici. L’accusa: associazione a delinquere finalizzata all’illecita gestione e traffico di rifiuti pericolosi. Il Gip di Larino, Lucio Luciotti, parla di: “dissennate modalità di smaltimento di ogni genere di rifiuto nel più totale disprezzo di ogni norma di tutela ambientale e di salute pubblica”. Antonio Moscardino, per gli inquirenti il trait d’union, l’intermediario tra le aziende del Nord e i personaggi corrotti e senza scrupoli del posto, era parte integrante di un “sodalizio avente la finalità di commettere una molteplicità di delitti finalizzati al traffico illecito di rifiuti speciali”. Scrive il Gip Roberto Veneziano del Tribunale di Larino che “in modo organizzato e continuativo, gestiva, trasportava e riceveva ingenti quantitativi di rifiuti speciali pericolosi smaltiti illecitamente mediante interramento”. Nel 2011 sopraggiunge la prescrizione. Da non confondere con l’assoluzione, che è tutta un’altra cosa. Moscardino, però, patteggia. Per lui un anno e otto mesi di reclusione. Della “persona poco affidabile” parla anche un ex operaio della Fonderghisa, senza tralasciare il campo ‘a riposo’. Tutti conosco il terreno e il suo passato. “Lui (Moscardino, ndr.) effettuava il trasporto terra. Non era molto affidabile. È stato coinvolto anche nella discarica di Campomarino, per materiale tossico. Aveva una discarica in un uliveto a Venafro, ha lavorato con Ragosta, ma anche con l’altro proprietario, Poletto. Rispetto alla concorrenza faceva buoni prezzi”. Sulla bonifica del ‘terreno a riposo’ è un po’ scettico. “Bonificata nel senso che ci hanno rimesso la terra sopra e hanno riseminato il prato o hanno tolto tutto il materiale che c’era sotto? Secondo me non è stata fatta una vera bonifica. Erano tonnellate e tonnellate di materiale. La Fonderghisa smaltiva tanta di quella terra di fonderia che era impressionante. Lui lavorava per diverse aziende e depositava tutto in questa discarica. Là dentro veniva messo di tutto, sembra che ci fossero metalli, vernici”.

La bonifica e il ripristino ambientale

Moscardino fallisce e mi rivolgo a Di Nardo, ditta Edilcom. Prima che Di Nardo facesse il ripristino dello stato dei luoghi intervenne l’Arpa, ci fu il sequestro”. E, oggi, com’è la situazione? “Sta tutto in regola. Ho dovuto nominare un esperto, un geologo di Isernia, che ha dovuto redigere tutto un progetto. Ho fatto tutto in regola, perciò pensavo che avessi risolto. Ho dovuto sottostare a tutte le prescrizioni che mi hanno fatto, le ho tutte realizzate e ho dovuto pagare le analisi”. Il materiale interrato da Moscardino che fine ha fatto? Dall’Arpa di Isernia nessuna dichiarazione, solo un invito a chiedere ufficialmente gli atti. La domanda è stata inoltrata lo scorso 17 ottobre. “È stato fatto tutto – continua Nola – con fatture, bolle. Tutto smaltito in discarica, il materiale è stato analizzato”. Ma perché bonificare, controllare, analizzare se, come dice Nola, tutto andava bene? “C’era questo materiale che andava tolto. Se ci stanno le pietre, la pietra si deve togliere”. Regione, Arpa, Comune di Venafro, tutti insieme. Un intervento così massiccio per togliere delle pietre? “Sono stati tolti i pezzi… tipo della plastica, del materiale che ha gettato altra gente”. Nell’agosto 2007 il geologo di Isernia, Vito La Banca, comunica la fine dei lavori e il ripristino ambientale. La storia sembra chiusa e risolta. Abbiamo parlato anche con il geologo La Banca, che spiega: “era stata autorizzata una bonifica agricola, ma chi si occupò di fare questa bonifica agricola fece una cava abusiva. La bonifica agricola consiste nel rimuovere il terreno, massimo un metro, per sostituirlo con altro terreno più facile da lavorare. Fu autorizzata una ditta, che approfittò di questa autorizzazione e fece una cava abusiva, con buche profonde diversi metri. Forse cinque, sei o sette metri. Dopo subentrò un altro personaggio (Antonio Moscardino, ndr) che propose al proprietario di rimettere a posto il terreno. Questo signore utilizzò materiale di altoforno, scarti di ferro che provenivano da una fabbrica di Pozzilli. Gli fu contestato di aver messo cose poco lecite: fusti, bidoni. Intervenne l’Istituto Nazionale di Geofisica per la presenza dei fusti. Fecero dei rilievi magnetometrici, individuarono dei fusti, che erano vuoti. Se erano stati aperti non lo sappiamo. Furono fatte delle analisi chimiche, delle indagini e risultò che il terreno non era contaminato. Dopodiché la bonifica si concluse, con una pulizia superficiale. Il sito è stato bonificato, è stata riconosciuta la bonifica. Io mi fermo al 2004 o 2005, fin quando ho curato io la cosa. Da quel momento in poi non so più nulla”. Ma perché, dopo tanti anni, si registra la presenza di questa sostanza gelatinosa verde? Che cos’è? Perché esce dal terreno? “Che cosa possa essere questa sostanza verde non lo so – ha spiegato il geologo -. È stata fatta una bonifica, più che bonifica una pulitura superficiale. Le buche, all’epoca, potevano essere riempite con questa roba d’altoforno, perché lo prevedeva la legge. Ricordo che venne contestata la presenza di questi fusti vuoti”. Il geologo ‘cura la cosa sino al 2005’, ma comunica la fine dei lavori e il ripristino ambientale nel 2007. “Si, perché i lavori di bonifica sono stati fatti in due puntate, più che una bonifica una pulitura. Solo superficiale, il materiale presente sul terreno. Poi è calato il silenzio su questa storia”. Possono stare tranquilli i residenti della zona? Le parole di Vittorio Nola, presidente del Consorzio di Bonifica di Venafro, sono disarmati: “i controlli in questa Regione non funzionano, è un fatto acclarato”. Sull’argomento l’attuale Sindaco di Venafro, Antonio Sorbo, ha affermato: “interverremo, non possono esserci dubbi intorno a questi temi”. È tutelato in Molise il diritto alla salute? È la stessa domanda che da qualche anno le ‘Mamme per la Salute e l’Ambiente’ di Venafro rivolgono, inutilmente, alle Istituzioni, agli Enti locali (“Si evincono responsabilità della politica e delle istituzioni in generale, in merito alla tutela della salute pubblica”). Sono state pure denunciate. Che fine ha fatto la questione diossina? L’Asrem di Isernia, nel 2010, comunica all’assessorato regionale alla Sanità la “presenza di diossina, superiore ai limiti previsti su un campione di carne bovina”. Oggi tutto è stato chiarito? Perché in Molise non è mai partito il Registro dei Tumori?


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