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La #cultura salverà l’Italia, ma solo se puntiamo su #istruzione e #formazione
06 Ott 2015 06:14

Finalmente una buona notizia per l’economia del Sud. Parlo dei dati che riguardano il turismo e che si riferiscono al primo semestre del 2015. Da Gennaio a Giugno, infatti, i visitatori sono cresciuti del 7,5%, con un aumento di 307.471 unità e gli introiti dei musei hanno registrato una crescita del 17,4%. Una spinta alla crescita del Sud potrebbe arrivare anche dal Programma Operativo Nazionale (Pon) che mette a disposizione 491 milioni di euro per la cultura e il mezzogiorno, in particolare per Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia. Spesso ci dimentichiamo che l’Italia possiede uno dei maggiori patrimoni artistico-culturali del mondo e il maggior numero di beni artistici e culturali dichiarati Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO. E molte di queste ricchezze sono proprio al sud. Un immenso tesoro composto da 95 mila chiese monumentali, 40 mila fra rocche e castelli, 30 mila dimore storiche con quattromila giardini, 36 mila fra archivi, biblioteche e siti culturali, 20 mila centri storici, 5.600 musei ed aree archeologiche, 1.500 conventi.

Il patrimonio culturale e artistico potrebbe diventare per noi quello che il petrolio rappresenta attualmente per i Paesi del Medio Oriente. Dovrebbe essere, cioè, la nostra “materia prima” da consumare ed esportare: la nostra prima industria. Invece, non è così. Manca, sia a livello locale che nazionale, la consapevolezza di questa grande opportunità. Manca la volontà politica di investire molte più risorse per promuovere in maniera efficace questo settore. Manca la capacità di fare “gioco di squadra”, come ha detto recentemente il Presidente della Repubblica Mattarella, puntando il dito verso questo aspetto del nostro carattere che rappresenta una delle nostre maggiori debolezze. Un esempio lo abbiamo avuto dalle assemblee sindacali dei lavoratori di Pompei o del Colosseo che hanno lasciato fuori dai cancelli per ore migliaia di turisti e bene ha fatto il Governo a prevedere una norma che equipara questi lavoratori a quelli dei servizi pubblici essenziali. Perché altra cosa che all’Italia manca, in questo momento, è proprio un cambio di mentalità: mettere da parte individualismi e personalismi per fare uno scatto evolutivo verso quel concetto di “gioco di squadra” citato proprio dal presidente Mattarella. Se unissimo a questo aspetto, qualità come fantasia e creatività che ci contraddistinguono, faremmo dell’Italia il primo Paese d’Europa e non solo. E’ chiaro che, in questo scenario, un salto di qualità deve compierlo anche il sistema dell’istruzione in generale e della formazione universitaria, nello specifico. Diventa strategico investire nello sviluppo di figure professionali che possano operare ai massimi livelli nel settore del Beni culturali. Ma ci vuole più uguaglianza tra il nord e il sud del Paese anche in questo ambito.

Da una indagine Almalaurea, emerge che il tasso di occupazione è del 52,5 per cento tra i laureati del Nord e del 35 al Sud, mentre a un anno dalla laurea i ragazzi del Nord hanno uno stipendio più alto del 24 per cento rispetto ai colleghi meridionali. E, sempre al Sud, le Università sono alle prese con un netto calo di iscritti. Sono dati che devono farci riflettere. Abbiamo la necessità di investire di più in termini di disponibilità occupazionali sul nostro patrimonio artistico e dobbiamo lavorare per definire un orientamento scolastico più efficace che sia in grado di indirizzare gli studenti delle scuole secondarie superiori verso nuove opportunità offerte dal mercato del lavoro. Ci vogliono il giusto coraggio e la lungimiranza di capire che l’Italia può ripartire dalla cultura. In questo panorama, si può immaginare un nuovo protagonismo delle Accademie di Belle Arti, insieme a tutto il sistema dell’alta formazione artistica e musicale (come i Conservatori) che nel nostro sistema di istruzione costituisce una realtà di eccellenza e con grandi potenzialità per il futuro. Se provassimo anche a unire le opportunità che offrono oggi le nuove tecnologie e i nuovi strumenti di comunicazione e a metterli al servizio dell’immenso patrimonio che abbiamo sotto i nostri piedi e attorno a noi, probabilmente riusciremmo a parlare molto meno di crisi e sempre più di crescita e sviluppo. Forse dovremmo imparare la lezione dal British Museum di Londra che nel 2013 ha organizzato una mostra su Pompei grazie ai reperti inviati in Inghilterra dall’Italia. “Vita e Morte a Pompei ed Ercolano”, è stata visitata da 471 mila spettatori in sei mesi, segnando il terzo miglior risultato di sempre per il museo londinese dopo Tutankhamon e l’esercito di Terracotta. E proprio dopo la mostra su Pompei, il British Museum ha scalato la vetta dei luoghi di cultura più visitati al mondo. Mentre noi, che siti come Pompei li abbiamo in casa, siamo costretti a trattarne parlando di degrado, crolli e scioperi. A volte penso che camminiamo sull’oro e non ce ne rendiamo davvero conto. Penso però che siano davvero maturi i tempi per cambiare mentalità e voltare pagina, guardando, oltre che a noi stessi, anche al futuro delle nuove generazioni e del nostro meraviglioso Paese.


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