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Coronavirus: la musica indipendente rischia il crollo per mancanza di leggi
05 Apr 2020 11:07

Come detto in alcuni articoli in passato, la musica italiana è composta al 95% di artisti e piccole etichette completamente indipendenti che ogni giorno devono fare acroboazie enormi per riuscire a sopravvivere.

Secondo un’indagine realizzata da Slc-Cgil e Fondazione Di Vittorio chiamata “Vita da artisti”, il lavoro sommerso nella musica e più precisamente nell’attività live corrisponde ad una cifra valutata tra i 3 e i 5 miliardi di euro.

Molti potrebbero pensare, in maniera populista, che si tratta di evasori fiscali ma il problema è molto più a monte di quanto si possa sembrare.

La cultura come pilastro dell’Italia.

Infatti,la musica è uno dei settori per cui l’Italia è conosciuta nel mondo e di cui le istituzioni non si sono mai occupate a livello di regolamentazione e di leggi per la difesa dei lavoratori del settore, lasciando così senza tutele la stragrande maggioranza della comunità che porta avanti la produzione artistica che da articolo 9 della Costituzione italiana, andrebbe tutelata e salvaguardata.

Tra gli operatori del settore, ovviamente, ci sono gli artisti e con il coronavirus è esplosa una bolla economica che nel tempo si stava ingigantendo e che ora vede colpito a livello economico in maniera mai vista.

Tra coloro che si sono subito attivati per sostenere economicamente gli artisti c’è il Nuovo Imaie che ha tutelato i suoi iscritti attraverso un sostegno economico e Soundreef che ha anticipato la rendicontazione per gli artisti che hanno pubblicato album e canzoni promossi sui digital store e sui media tradizionali e non.

Il decreto “Cura Italia” e la musica.

Nel decreto “Cura Italia”, invece, gli gli operatori del settore che hanno potuto accedere ad un sostegno economico sono stati molto meno del 50% perché tra i requisiti c’era la richiesta di aver corrisposto all’INPS ex Enpals almeno 30 giornate lavorative nel 2019.

Ovviamente il decreto “Cura Italia”, per quanto riguarda il sostegno all’arte e allo spettacolo, si è dovuto basare su vecchie congetture e che purtroppo si sarebbe potuto risolvere se i Ministeri preposti avrebbero ascoltato in passato le proposte come il BOSS (Buoni occasionali semplificati dello spettacolo) come pubblicato dalla Fondazione Centro Studi Doc.

Come abbiamo detto, il lavoro in nero nella musica dal vivo si aggira tra i 3 ei 5 miliardi di euro ed è principalmente causata da una mancanza di leggi a tutela degli operatori del settore perché, lo stesso settore,. viene visto ancora come un’industria che produce prodotti e che rientra in una visione di cultura mercificata e non come asset (pilastro) su cui si fonda la società. In poche parole, una canzone viene vista come un dentifricio o un prodotto non essenziale a livello economico e non come un prodotto primario e basti pensare che l’imposta sul valore aggiunto (IVA) per la musica è al 22% e non al 4% come nelle pubblicazioni editoriali.

Quello che veramente lascia perplessi è una mancanza di conoscenza del settore da parte della politica che non conosce le criticità nel settore e che non riesce quindi ad emanare leggi a tutela dei lavoratori e a regolamenta gli investimenti dei fondi europei che in alcune Regioni sono stati dedicate in percentuali a doppia cifra proprio nel settore.

Ancora più sconcertante è che non sia mai stato istituito un tavolo tecnico istituzionale che coinvolga gli operatori del settore (artisti, giornalisti musicali, piccole etichette indipendenti, uffici stampa, locali che portano musica dal vivo, etc etc).

Gli occupati del settore musica.

Solo chi conosce questo settore può confermare che con il coronavirus è scoppiata una bolla finanziaria che ricorda molto quella del 2008 e dobbiamo sempre ricordare che  secondo il rapporto di “Italia Creativa”, redatto dalla società di consulenza Ernst & Young, nel 2015 il settore cultura e creatività vantava un valore economico pari a 47.9 miliardi di euro e che il settore musica rappresentava la filiera con la crescita più alta che, in quel momento, contava 880 mila occupati.

Se ci fosse uno studio con dati al 2019, vedremo che se nel 2015, il settore cultura vantava il 4% della forza lavoro, adesso potremmo vedere che sfiorava il 10% e che con la crisi arrivata con il coronavirus, si stanno perdendo centinaia di posti di lavoro.

Assurdo che un Paese che all’articolo 9 della Costituzione cita che “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura” si ritrovi completamente imparato nella conoscenza che, in passato lo ha reso tra i più importanti al mondo.


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