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Al Sud occorre una nuova classe dirigente che non dipenda più dalle tasche di Roma
26 Set 2013 07:20

Da un po’ di tempo sto cercando di portare sul mio territorio, la Campania, i temi che affronto su internet. Così al Maschio Angioino, ospiti della Fondazione Valenzi rappresentata da Roberto Race, moderati da Luciano Crolla e con l’organizzazione di Officine Democratiche, abbiamo parlato di digitale insieme a Loredana Vagnoni, Paolo Colli Franzoni (direttore Netics), Gaetano Cafiero (Presidente della sezione ICT di Confindustria Campania), Chicco Testa e Giorgio Gori.

È stata una discussione importante, iniziata con i dati, tutt’altro che confortanti, e conclusa con la convinzione che la realtà vada affrontata e cambiata, facendo leva soprattutto sulle risorse umane.

Ovviamente non è facile, ma quello che più mi sta a cuore è che si vada radicando il messaggio che il cambiamento dipende in massima parte da noi e che è finito il tempo in cui il Sud aspetta che dalle tasche di Roma arrivino le risorse per cominciare un progetto. Ed è finito il tempo, di conseguenza, della classe dirigente estrattrice di risorse, come dice Fabrizio Barca, specializzata, cioè, in un’unica abilità, quella di andare a Roma con una richiesta e tornare sul proprio territorio con uno stanziamento di fondi. Una classe dirigente cui importa poco o nulla dell’utilizzo che si fa di quel fondo ma il cui unico interesse è quello di dimostrare alla propria clientela di sapere come ottenere i soldi per foraggiarla.

Loredana Vagnoni e Gaetano Cafiero ci hanno illustrato lo stato dell’arte in Campania, tra dati non disponibili, burocrazia, molte lacune e pochissime eccellenze, Paolo Colli Franzoni ci ha spiegato che la rivoluzione digitale significa anche e soprattutto un nuovo modo di fare impresa, dove servono meno capitali ma molte più idee, Chicco Testa ci ha raccontato la sua esperienza di Telit che da Trieste e Cagliari è arrivata ad occupare una posizione di primissimo piano nel panorama mondiale delle aziende che producono tecnologia wireless machine-to-machine e Giorgio Gori ci ha parlato delle sfide che attendono la prossima classe dirigente.

Mentre accadeva tutto ciò, però, un altro pezzo fondamentale dell’economia italiana passava di mano e si tratta di Telecom la cui importanza strategica per il settore ITC non ha bisogno di essere illustrata.

La prima grande azienda italiana privatizzata, il simbolo di un certo capitalismo italiano, ora è controllata da Telefonica, la compagnia spagnola di telecomunicazioni.

Non è un problema di italianità (in nome della quale, anche nel recente passato, sono state commesse molte nefandezze, vedi Alitalia), è un problema di visione e di strategia. Chiudono gli stabilimenti siderurgici, si vendono le compagnie di TLC, chiudono le imprese del manifatturiero, è in crisi il mercato dell’automobile. Si va cianciando di ripresa e di stabilità, ma come ci si riprende se non si ha una politica di sviluppo?

Più passano le ore e più mi convinco che la vera urgenza è quella di cambiare l’attuale classe dirigente, che appare datata e priva di visione, per farne emergere una nuova, che abbia voglia di mettersi in gioco. Ieri abbiamo parlato, tra l’altro, anche dei bivi di fronte ai quali un popolo si trova nel corso della sua storia e di come, ovviamente, influisca sul futuro la strada che si sceglie di percorrere. Credo che sia ora di lasciare la via vecchia, parafrasando il proverbio, proprio perché sappiamo quel che lasciamo.


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