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Ha un parente mafioso, per i giudici può fare il sindaco ma non può lavorare
14 Mar 2014 10:42

Ha un parente mafioso, per i giudici può fare il sindaco ma non lavorare in una impresa.

Tutto comincia con un’informativa della prefettura di Palermo spedita all’Enel il 2 dicembre 2011. Poche righe per avvertire l’azienda che l’ingegner Pietro Di Liberto, responsabile per la sicurezza di un’impresa subappaltatrice e dal maggio 2012 sindaco di Belmonte Mezzagno, ha “vincoli parentali e cointeressenze economiche con soggetti ed enti contigui alla criminalità organizzata”.

L’Enel revoca subito il contratto con la Siem che operava in tre cantieri siciliani e da parte della ditta scatta il ricorso al Tar. Dopo che il 6 febbraio 2012 la Siem licenzia l’ingegnere, per i giudici cade la possibilità che Di Liberto possa condizionare gli appalti e così il ricorso viene accolto.

Ma l’organo d’appello del Tar, che in Sicilia è il Consiglio di giustizia amministrativa, non la pensa così. I giudici di secondo grado sottolineano come nel ricorso venga sottolineato dagli stessi legali che Di Liberto è stato incluso per 7 anni nell’organigramma “per esigenze meramente formali, ma non ha mai concretamente espletato alcuna attività aziendale”.

Se l’incarico non è concretamente utilizzato, “è indicativo – dice il Cga della capacità di condizionamento che quel soggetto stesso è in grado di esercitare”. Insomma, risultare in organico senza fare nulla diventa un’aggravante.

Intanto l’ingegnere, che si dedica alla professione dal ’96, si candida a sindaco, in quota Pd, e viene eletto (è tuttora in carica).

Gli avvocati, a sostegno delle proprie tesi, dicono nel ricorso che se il loro cliente avesse il profilo descritto dall’informativa della prefettura, non potrebbe certo restare sulla poltrona di amministratore.

Eppure – insistono – quando si è candidato, e fino ad ora, nessuno ha avuto niente da eccepire e il ministero dell’Interno non ha mai pensato di sciogliere il Consiglio comunale per mafia. Una contraddizione palese, secondo i legali;non secondo il Cga: per poter decidere lo scioglimento, occorrono elementi “concreti, univoci e rilevanti”, scrivono i giudici d’appello.

Ma il diretto interessato non ci sta: “Mi contestano la parentela di ottavo grado con il figlio del fratello di mia nonna, che non vedo da vent’anni – spiega Di Liberto e l’aver incontrato per lavoro un soggetto che risulta sotto indagine ma non ha alcuna condanna. Faccio il sindaco dal maggio 2012 senza prendere un centesimo. Ho approvato il codice anti-corruzione e rinegoziato contratti di diversi milioni. Questa vicenda mi fa salire il sangue alla testa”.


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