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Il sindaco anti-‘ndrangheta sconfitto alle elezioni
17 Giu 2013 09:56

Come isolare Isola. Potrebbe essere questo il tema. Che in qualche modo è declinabile anche oltre i confini del comune del crotonese su cui insiste l’Area marina protetta di Isola di Capo Rizzuto, tra le coste più suggestive del Sud Italia. Come isolare la Calabria. Come isolare gli esempi di buonavita e di resistenza e insistere su altro. Coniugando la Calabria come declinazione continua e costante della ’ndrangheta. Sottolineando – come nel caso di Preiti – come notizia da primo titolo nazionale il fatto che un calabrese potrebbe aver compiuto un gesto folle anche senza un riferimento diretto e immediato alle ’ndrine.

Su Isola di Capo Rizzuto i riflettori tenuti accesi per anni si sono spenti un attimo prima di quando sarebbe stato necessario attenzionarne le evoluzioni. Su quel Comune virtuoso, grazie ai cinque anni di amministrazione di una donna, Carolina Girasole, il cui nome è diventato simbolo della legalità, è calato il silenzio generale proprio nel momento della battaglia più dura.

Il sindaco uscente ha lasciato fatti concreti nella sua Isola. Basterebbe ricordare i beni confiscati alla ’ndrangheta e ora gestiti da Libera. Sono molti altri i risultati ottenuti, ma non sono bastati per vincere le elezioni: sconfitta, dopo atteggiamenti da Ponzio Pilato che hanno coinvolto chiunque avrebbe potuto aiutarla nel suo difficilissimo percorso, ha dovuto subire l’ennesima intimidazione. La notte successiva alla proclamazione del nuovo sindaco la casa al mare costruita da suo suocero, decenni fa, per riunire in estate i figli (tra cui Franco, marito di Carolina), è stata incendiata. Si è cercato di far passare la notizia, terribile, in secondo piano. A livello locale come a livello nazionale. Si è cercato di non leggere la gravità e l’impunità di quelle fiamme.

È stato naturale, per me, scrivere il pezzo che segue, il 29 maggio. Sono trascorse più di due settimane ma, a parte un ricordo in aula, il 12 giugno, durante le votazioni alla Camera della legge istitutiva della Commissione parlamentare antimafia, approvata all’unanimità, tutto continua a scorrere come prima. Più di prima. E il mio pezzo, ormai datato, è tristemente attuale. Perché tutto scorre, salvo l’indifferenza. Che, come ci ricordava Gramsci, continua a essere il peso morto della storia.

Ma sì, lasciamola sola Carolina Girasole, la “ribelle” di Isola di Capo Rizzuto che ha preteso, per cinque lunghi anni, di riportare la legalità nella sua cittadina affacciata sullo Jonio crotonese, permettendosi di relegare al passato clientelismi di ogni genere, cattiva gestione amministrativa, e diventando un simbolo della lotta alla ’ndrangheta in tutto il territorio nazionale. Lasciamola sola. Tanto ormai è abituata.

Ha iniziato a lasciarla sola, a fine dello scorso anno, il Pd, il suo partito di riferimento, quando, dopo averla sballottata come simbolo costante in ogni dove, invitandola a mega raduni, chiedendole filmati da proiettare persino in piazza San Carlo a Torino, davanti agli occhi commossi dell’allora segretario di partito Bersani, dopo averla trascinata nel tritacarne mediatico insieme a altre donne-sindaco-simbolo della Calabria-che-si-ribella (a lei persino El Pais ha dedicato un lungo articolo-intervista), ha lasciato la palla ai luogotenenti locali, che si sono ben guardati dall’inserirla, con le sue colleghe in prima linea e non intimidite dalle intimidazioni, nella lista dei “nominati” al sacro Parlamento, preferendo giocarsi le proprie personalissime carte lontani dalle trincee.

Era stato un primo campanello di allarme, che l’allora sindaco di Isola aveva sentito suonare tetro, e molto forte. Poi, a febbraio, era arrivata la richiesta di un impegno diretto con l’allora Presidente del Consiglio Monti, la sofferta candidatura in Scelta Civica, che in Calabria non era riuscita a eleggere deputati. Il secondo campanello ha suonato poco più di un mese fa, quando l’assenza totale di input da parte del Pd rimarcava un’altra presa di distanza. Carolina aveva pensato a lungo se fosse il caso di ricandidarsi. I cinque anni trascorsi a raccogliere i cocci e costruire qualcosa di nuovo per Isola erano lì, solidi, con tutti i risultati raggiunti, a dirle che doveva andare avanti.

Il Pd ha deciso di non far comparire il proprio simbolo nelle amministrative appena terminate. Molti esponenti “democratici” locali si sono uniti in liste civiche a sostegno di un altro ex sindaco, Milone. È arrivato secondo, non è riuscito a trascinare al ballottaggio il trentaduenne Gianluca Bruno, imprenditore nel ramo pacchi e spedizioni, eletto sindaco nelle liste del centro destra. In sedici si sono raccolti intorno a lei. Hanno riempito le piazze di Isola per far sapere cosa era stato fatto, cosa avrebbero continuato a fare. Ma fare a volte non è importante. Non basta.

Niccolò Zancan, dalle pagine della Stampa, racconta la festa per la sconfitta di Carolina: “Nei bar non ti danno tregua. Offrono cornetti e brindano: «Ce ne siamo liberati! Evviva! Quella si credeva la paladina della giustizia, ma ha detto soltanto falsità. Qui si sta benissimo, altroché mafiosi. Dovete scriverlo: da cinque anni non c’è un morto ammazzato. Mentre quella ha ucciso il turismo a forza di parlare di ’ndrangheta. Ha infangato tutto il paese. Voleva fare carriera sulla pelle nostra»”.

Una carriera infuocata, quella di Carolina. Negli anni passati le hanno incendiato più volte la macchina, hanno cercato di bruciare la casa al mare, raccontando che si trattava di una villa abusiva costruita grazie a suoi “intrallazzi” amministrativi. Ma sono ordinaria amministrazione, i fuochi: a Isola anche durante quest’ultima campagna elettorale non sono mancate intimidazioni. Non hanno digerito quel suo andare dritta al nocciolo del problema, quella sua limpidezza con cui ha portato Libera e don Ciotti su terreni confiscati, cercando di ricostruire quello che era stato distrutto. Hanno deciso di alzare il venticello della calunnia, di insinuare che no, a Isola la ’ndrangheta non esiste, che era lei a raccontarla per farsi pubblicità. Sono arrivati a contraddire le loro stesse affermazioni speculando sul cognome pesante del cognato, che nessuno si è curato ricordare non aver mai avuto a che fare con la giustizia.

Infine, com’era ovvio, non l’hanno votata. Ma ciò che è terribile è che sono riusciti a non farla votare, se non da un coraggioso 15% di isolitani che hanno deciso di guardare in faccia la realtà, e non le favole. Ci diciamo sempre che “loro” non sono più forti, perché numericamente inferiori. È vero?

I cornetti, però, non bastano per festeggiare. Ci vuole un segnale forte, deve aver pensato qualcuno. Affinché capisca quanto forte è la sua sconfitta. Quanto forti siamo noi.

O forse, visto che dal terrazzo di quella casa di Capo Rizzuto ci si continua a innamorare delle sue bellezze, nonostante tutto, hanno voluto evitare che Carolina possa continuare a far prevalere il proprio amore per Isola anziché la rabbia per tutto quello che la sua famiglia è stata costretta a subire in questi cinque lunghi anni. Hanno preso di mira la casa di Rosario Pugliese che decenni fa, con la moglie, ha deciso di costruire un luogo in cui continuare, d’estate, a godere dei figli e del mare. Un piccolo giardino, due piani divisi in piccoli appartamenti estivi (due camere da letto, un soggiorno living con angolo cottura, un bagno), un patio in cui trovarsi a pranzo e cena tutti insieme. Al piano terra l’appartamento dei suoceri di Carolina e della loro figlia Antonia. Sopra, quello del figlio Francesco, marito di Carolina.

Se ti fermavi a parlare con Franco, fino a ieri, ti raccontava, illuminandosi di una gioia infantile, dei suoi ricordi di ragazzo. Del legame che ha con quel posto del cuore, dove un tempo si trovava con i suoi amici e gli amici delle sorelle e del fratello, ora ci sono gli amici delle figlie e dei nipoti. Un luogo solido, un luogo dove respirare lo stare insieme che i suoi genitori hanno fatto diventare punto di riferimento di ogni estate.

Stamattina il padre ha mandato un imbianchino: l’estate bussa, l’inverno aveva lasciato qualche traccia da rimettere a posto. È stato proprio il muratore a scoprire che questa notte qualcuno ha versato liquidi infiammabili sotto le porte dei due appartamenti al primo piano, bruciando tutto quello che poteva bruciare.

Ma sì. Lasciamola sola, Carolina. Ha perso, ha perso due volte in pochi mesi, come alcuni quotidiani locali sottolineano con costanza quasi maniacale. Ha perso anche la casa per le vacanze estive. In fondo non era neppure sua.

Lasciamola sola, Carolina. Facciamo finta di non sapere che con quelle fiamme, stanotte, non sono stati bruciati solo i ricordi di due splendidi anziani, né la speranza che vivere onestamente sia l’unica soluzione possibile, né l’idea che una sconfitta politica non possa essere il frutto di odio personale. Facciamo finta di non sapere che quelle fiamme hanno bruciato un’altra possibilità di riscatto di ogni isolitano, di ogni calabrese, di ogni italiano. Tanto, in fondo, non è casa nostra. E la ’ndrangheta non esiste. Là.


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