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Nomisma attacca i comitato del No Triv: “Ecco quanto ci costano”
19 Ago 2013 08:14

Italia, “ostaggio” dei comitati ‘no trivelle’, rinuncia a raddoppiare la produzione di petrolio e gas, a investimenti per 5 miliardi di euro, a migliaia di posti di lavoro e a maggiori entrate (royalties e tassazione dei profitti) per 1,5 miliardi di euro preferendo importare idrocarburi, trasferendo così ricchezza all’estero“.

Si può sintetizzare così il ragionamento del presidente di Nomisma energia, Davide Tabarelli, nella foto, secondo cui i timori ambientali sono poco fondati mentre i ‘No Triv’ mettono in dubbio le decisioni di organismi istituzionali (dove lavorano centinaia di professionisti pagati bene con le tasse degli italiani) e fanno richieste che tendono a protrarsi all’infinito con costi diretti crescenti per i cittadini e indiretti per mancata realizzazione di infrastrutture.

Insomma oltre al danno, la beffa. Intanto, osserva, in questo istante nel mondo esiste “oltre un milione e mezzo di pozzi su terra e circa 30 mila su piattaforme in mare che stanno producendo il gas e il petrolio che verrà consumato nei prossimi giorni, che coprono il 55% dei consumi mondiali di energia, quota che rimarrà simile nei prossimi decenni. Sono circa 10.000 i pozzi che producono i 118 milioni di tonnellate che importiamo mentre altri 12 milioni li produciamo in casa“.

“La recessione ma anche l’avanzare delle fonti energetiche rinnovabili – spiega il presidente di Nomisma energia – non riduce la dipendenza dell’Italia dagli idrocarburi visto che anche nel 2013 incidono per l’80% sui consumi finali di energia. E la domanda al 2030 è stimata solo in lieve calo, al 76%. Attualmente l’Italia consuma circa 130 milioni tonnellate equivalenti di petrolio, di cui 118 importate”.

La produzione di petrolio e gas in Italia potrebbe raddoppiare grazie all’abbondanza di riserve, ai bassi costi di produzione e alla volontà delle compagnie di investire subito circa 5 miliardi di euro. Le riserve di gas e petrolio sono dello Stato e pertanto di tutti gli italiani – spiega Tabarelli – e l’obiettivo deve essere di favorirne la valorizzazione a beneficio di tutti i cittadini. Il raddoppio della produzione a 24 milioni di tonnellate comporterebbe maggiori entrate, in termini di royalties (cioè la parte del ricavo dato allo stato per lo sfruttamento delle riserve ai privati) e di tassazione dei profitti, dell’ordine di 1,5 miliardi che si aggiungerebbero all’attuale miliardo”.

Sono 7.000 i pozzi perforati in Italia dalla fine dell’800, di cui circa 200 ancora attivi, spiega Tabarelli, aggiungendo che le potenzialità geologiche sono ancora abbondanti, “ma gli ostacoli di carattere ambientale ne impediscono lo sfruttamento. I crescenti poteri affidati agli organi locali, rendono difficili e onerosi, a volte impossibili, i progetti in Italia”. Secondo Tabarelli, inoltre, è ora di “togliere le royalties agli enti locali che le interpretano come una compensazione di un danno che, in realtà, non esiste”.

Le royalties che in Italia sono intorno ai 300 milioni di euro l’anno e che “potrebbero triplicare se si raddoppiasse la produzione, sono state eliminate in Gran Bretagna e in Norvegia, aumentando le tasse sui profitti. Lo stesso occorre fare qui”. E per il futuro, conclude Tabarelli, è “necessario pensare a qualche forma di penalizzazione per quelle regioni che ostacolano lo sfruttamento di una risorsa che appartiene a tutti gli italiani. Ogni anno le mancate entrate, che lo Stato fa gravare su altre voci, sono circa 1 miliardo di euro”.


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