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Non trascrivete le parole di Alfano, lo statista dell’Italia mutilata
15 Ott 2013 07:51

Vi scrivo riflettendo sull’acqua. Sorella acqua per il santo d’Assisi. Da tempo la difendiamo, in molti la consideriamo bene pubblico. E’ elemento politico di prim’ordine. Silvia Ballestra nel divertente romanzo “Il disastro degli Anto'”, una riuscita epica punk di periferia dell’Italia interna, pone negli anni Novanta la premonizione sull’acqua come nuovo elemento di conflitto e convivenza tra i popoli . Un tema che arriva ai giorni nostri.

Il grande bacino del Mediterraneo l’ho studiato alle elementari come “Mare nostrum” dei romani e come via di comunicazione di popoli in guerra e pace. Da quel mare parti’ mio padre Tullio verso le ignote terre della Pampa argentina e come lui furono migliaia di migliaia di nostri nonni e padri che abbandonarono città e paesi per cercare un altrove al loro riscatto e al loro sogno e al loro ritorno.

Oggi l’acqua del Canale tra Malta, isola di cavalieri votati al bene e all’assistenza, e Sicilia la terra che condivide parole e cibo con la riva di fronte, non è più elemento di vita ma una grande bara. Provate voi ad immaginare la navigazione in un ambiente chiuso e ristretto, dove il puzzo di piscio si confonde con l’acre odore del carburante e il cuore ti batte aspettando la riva del nuovo mondo. Il bimbo attaccato al collo della madre, il giovane che in quel viaggio pensa di aver fatto bene a lasciar guerra, fame, paese per prendere in mano il destino con le sue forti braccia levigate da fatiche e sferzate dall’aguzzino cui ha dato tanti denari raccolti con il sudore e il patema di chi cerca l’esodo.
Non l’esodo della filosofia ma la cruda e crudele notte umana vi sto qui a narrare. Quella della barca che si capovolge o s’infiamma. Viaggiatori del rischio esposti al pericolo. e pensate alla fredda acqua della notte. Il buio lacerante come quello che attanaglio’ i cittadini di Reggio e Messina nel 1908 quando il maremoto tutto inghiotti’ e pensarono pochi secondi dopo che tutto il mondo era finito.

In quel tratto di mare tra l’Europa e l’Africa che oggi chiamano Lampedusa finisce il mondo di fratelli nostri annegati senza speranza, a volte senza soccorso e spesso anche senza sepoltura. C’era una legge del mare non scritta sulle tavole e che salva il naufrago senza pensare. L’abbiamo messa in discussione e ritorna quel dubbio sul nostro aver perso umanità.
E anche l’acqua monsonica che ha devastato Puglia e Basilicata rende perplessi per la distanza dei governi e di quella che chiamiamo nazione. I morti di Ginosa sembrano nulla. Chi siete? Che volete? Anzi neanche domande al meridionale ignoto che non riesce a porre questione. Italia in ginocchio per colpa nostra che l’abitiamo.
Metaponto, che come in contese omeriche si contende il ruolo di essere pitagorica con Crotone, riproduce ormai da tempo l’icona non più’ esclusiva dell’acqua alta veneziana. Non vogliamo il Mose. Ma veder in forma ciclica il livello dell’acqua che affoga la vestigia architettonica della Magna Grecia è affar che spezza il cuore insieme al disastro di quegli appulo-lucano che devono combattere sempre questo pericolo.

Neanche il ministro Bray ha fatto un cenno a chi ha fatto notare con le vie della nuova comunicazione per far riflettere che anche una semplice parola o una visita di conforto può esser già tanto. E allora buttiamola in poesia, e se avete pazienza portatelo al ministro, ad un politico, ripetetelo a qualcuno il verso di Albino Pierro, poeta che anelava al Nobel per aver modellato le parole della sua terra in questo modo: “Ci su’ tante billizze, a Metaponte, ca s’abbràzzene mute suttaterre. Di tutte sto cose antiche ile sèntene u respire, come quannu a lu scure t’appòggese cc’ ‘a ricche a na singhe di mure”. Le cose belle o brutte di quella piana dovrebbe rimanere eterne dice il poeta. Perché infischiarsene. A Franco Arminio amico paesologo ho più’ volte consigliato di leggere le poesie di Giulio Stolfi che in “Lucania” scrive: “E’ amara l’acqua dei nostri fiumi: troppe lagrime abbiamo versato”.

Non trascrivete questa parole per il vicepremier Angelino Alfano. Egli è il prototipo dello statista che l’Italia mutilata di questo passaggio merita. A parlargli delle alluvioni metapontine ci dirà che si ripeteranno. Così come ha fatto per le stragi di migranti forse preoccupato delle voliere da ammaestrare. E’ andato anche a Reggio Calabria a citare Falcone e a rubare le frasi della splendida inchiesta giornalistica, vecchio stile, che i miei antichi colleghi Paolo Orofino e Stefania Papaleo sul Quotidiano della Calabria stanno conducendo sui beni sequestrati alla mafia. Angelino leggi bene quei giornali che scavano nelle rocce e non fare annunci circondato da una borghesia collusa che cambia colore ad ogni stagione. Servirebbe molta acqua per lavare certe macchie. Non c’è più’ Sciascia ad inchiodare il Palazzo. Ci siamo solo noi con la nostra paziente indignazione a ricordare l’acqua che annega i fratelli e le pietre magnogreche. Che fiorisca l’arcobaleno nei vostri cuori.


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