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Il 2 Giugno abbiamo molto poco da festeggiare
02 Giu 2013 10:01

La “sporcizia” dello Stato deve essere ricercata agli albori della nascita della mafia in Sicilia e che ahimè la troviamo ancora oggi. Il binomio Stato/mafia, così come le sentenze dei Tribunali hanno acclarato, è un componente essenziale per ampliare quel coacervo d’interessi tra le due parti. Affermo che lo Stato non ha mai avuto né la volontà né l’interesse a combattere le organizzazioni criminali.

L’impegno decantato persino a mo’ di megafono, è stato un annuncio di facciata solo per accontentare una popolazione provata dalle stragi mafiose. Invero, mentre gli investigatori antimafia tentavano, coi pochi mezzi messi a loro disposizione e talvolta anche negati, di chiudere le porte allo strapotere delle mafie, lo Stato, attraverso uomini rappresentativi, apriva i portoni ai mafiosi, consentendo loro di diventare più forti che mai.

E da questa dolosa assenza, che io definisco di “responsabilità oggettiva”, abbiamo avuto morti come Peppino Impastato, Pio La Torre, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, tanto per citarne alcuni.

In buona sostanza l’azione di sostegno fattivo e collaborativo dello Stato verso la mafia è stata il viatico per aumentarne il potere e soprattutto l’arroganza di Cosa nostra.

Il lucido ed esemplare comportamento di Peppino Impastato, ma se vogliamo di tutti i suoi coetanei che l’hanno seguito in quell’innovativo percorso di Legalità, dovrebbe essere per tutti gli italiani onesti la linfa per percorrere sentieri di equità e giustizia, dove al primo posto lo stesso Peppino, ha posto in essere l’onestà e la moralità. E, in quell’ambiente inquinato dalla mafia, inquinamento proveniente anche da suo padre, appartenente alla mafia, non è stato certamente facile il suo cammino.

Ed è questo che a Peppino deve essere universalmente riconosciuto il pregio di aver combattuto la mafia anche dentro il suo focolare domestico. Se noi siciliani cresciuti con la cultura del silenzio e di cecità imposta, riflettessimo cos’era negli anni 70 la mafia e cos’era l’ambiente sociale, ci accorgeremmo che il sacrificio di Peppino Impastato è stato di una portata davvero gigantesca.

Se chiudiamo gli occhi e tentiamo di immedesimarci in quel fragile ma forte ragazzo che era Peppino, noteremmo un “Gigante”: un gigante che ha tentato di togliere quel magma fangoso, rappresentato da Cosa nostra e che avviluppava la società di allora.

Quindi, grande onore a quel gracile ragazzo, divenuto “Gigante” per avere aperto la sua mente al mondo. Peppino Impastato, è stato l’interprete principale di una sinistra che con tutte le forze si batteva in un territorio terribilmente ostile a siffatta cultura.

Giova anche evidenziare che nel periodo di lotta dell’intera sinistra nell’agro palermitano contro la mafia, la chiesa Cattolica era apertamente schierata con la Democrazia Cristiana e questo senza dubbio ha rappresentato per Peppino e i suoi compagni, un ostacolo insormontabile. L’assassinio di Peppino Impastato è stato reso possibile, appunto, per gli elementi negativi che imperversavano nella società di quegli anni.

Esprimo subito il mio dissenso, tuttavia oramai noto, sull’affermazione del giudice Giovanni Falcone, quando ebbe a dire che la mafia era un fatto umano e che ha avuto un’origine e come tale avrà una fine. Ho sempre dissentito per contrapposta visione, dovuta ad una mia conoscenza della mafia sin da quanto indossavo i pantaloni corti. Infatti, nella mia adolescenza ho conosciuto capi e gregari di Cosa nostra e persino colui che la dirigeva prima di Totò Riina. Mentre la valutazione di Falcone, nasceva dal suo lavoro e quindi attraverso le fredde carte processuali. La mafia non è svanita e non svanirà.

L’unico che è in grado di vincerla in modo definitivo è lo Stato, ma come ho detto prima non ha né l’interessa né la volontà di farlo. Interessi finanziari e politiche impediscono una serrata lotta contro tute le mafie: cito soltanto che i voti di scambio sono graditi. Oggi si può senz’altro dire che Cosa nostra, non la mafia, appare fortemente indebolita per gli arresti che hanno decimato il gotha.

Ma è pure vero che il roboante silenzio di ora è sinonimo di un riorganizzarsi senza tanto baccano e che mi porta a dire che Cosa nostra in questo momento è pericolosa, anche se non spara; illo tempore abbiamo avuto simile condizioni, ovvero che la pax mafiosa è il prodromo di una recrudescenza.

Oggi, abbiamo in campo i giovani, abbiamo associazioni che imprimono un giornaliero dibattito sulle realtà mafiose italiane. Il loro impegno mi fa ben sperare nel cambiamento e soprattutto mettere il fiato addosso ad una classe politica sorda ai richiami e all’esigenza di Legalità. Sono particolarmente felice che i giovani hanno deciso di stare a fianco ai martiri della violenza mafiosa: lo ammetto col cuore gonfio di tristezza, prima seppellivamo i nostri morti, noi della Polizia, in assoluta solitudine. La società palermitana era assente.


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