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Quella valle dove non c’è nemmeno il diritto di essere terremotati
28 Ott 2013 08:11

C’è un terremoto abruzzese che nessuno ha visto e che nessuno ha contato. Che lo Stato ha negato. E’ il terremoto della Valle Peligna, una macchia di leopardo scura tra i confini del cratere sismico, quello riconosciuto il 6 aprile 2009 dagli esperti della Protezione civile.

Block notes alla mano, nei giorni successivi alla scossa che distrusse L’Aquila, gruppetti di esperti con caschetto in testa si fecero una veloce passeggiata tra le strade dei centri della provincia, decidendo sulla base delle cosiddette “indagini speditive” il destino di un intero territorio. Così, decisero i tecnici, osservando da fuori  qualche palazzo, tra le “leggere lesioni enfatizzate dagli accompagnatori e dubbi crolli” (questo scrissero nelle loro “accurate” relazioni). Il sisma a Sulmona e quello in gran parte del suo comprensorio venne sbrigativamente negato, messo al di sotto di quel VI grado della scala Mercalli, soglia necessaria per ottenere lo status di terremotato (agevolazioni fiscali, contributive, tariffarie, di fondi).

Quei rilievi presentarono però “una sorta di oscurità procedimentale – metterà due anni dopo  nero su bianco il Tar Abruzzo a cui i Comuni furono costretti a rivolgersi – indici sintomatici del non corretto esercizio del potere sotto il profilo del difetto di motivazione, della illogicità manifesta, della erroneità dei presupposti di fatto, della incoerenza della procedura valutativa e dei relativi esiti e della correttezza del procedimento applicativo”. Tutto da rifare, disse insomma il Tar. Ma nessuno rifece niente: il commissario per la ricostruzione, che nel frattempo era diventato il governatore Gianni Chiodi, anzi avanzò ricorso al Consiglio di Stato (che sarà discusso a dicembre). Non fece niente Chiodi, neanche dopo che, sempre il Tar, gli intimò di rifare i calcoli per la seconda volta accogliendo il giudizio di ottemperanza avanzato da Sulmona e Raiano. Arrivò così il commissario ad acta, l’allora prefetto Giovanna Maria Iurato, che decise di avvalersi di una commissione di “esperti” (ancora), identica alla prima e cioè composta dagli stessi (Avvocatura, Protezione civile, Ingv) che avevano decretato l’esclusione di questi territori dal cratere.

Esito scontato, talmente scontato che ora è stato il Consiglio di Stato, a cui ancora una volta i Comuni si sono dovuti rivolgere, a dire che quei calcoli “rieseguiti” non sono attendibili, perché fatti da una commissione che era controllore e controllato, senza garanzia di contraddittorio.

Tutto da rifare insomma: in Valle Peligna a 4 anni e mezzo da quella terribile notte, non si sa ancora se considerarsi terremotati o meno, almeno sulla carta e sulle dichiarazioni dei redditi. Perché nella vita reale, al contrario, c’è ancora gente che non rientra a casa, cantieri immobili e un territorio che dal terremoto è stato sfinito economicamente e civilmente. Oltre alla crisi sulle e delle macerie, infatti, c’è quella della credibilità delle istituzioni, che fanno finta di non sentire e non vedere e che quando sono proprio costrette farlo (dai giudici), fanno come al solito come gli pare.


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