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Vi raccontiamo la guerra tra Crocetta e il Pd
24 Lug 2013 07:41

Mentre a Roma i Garanti del Pd lo mettono sotto processo a seguito delle contestazioni che alcuni dirigenti siciliani gli muovono per la sua militanza nel movimento il ‘Megafono’, Rosario Crocetta urla la propria rabbia contro quella che definisce “una vicenda surreale“, montata “dall’ex senatore Mirello Crisafulli, ritenuto incandidabile dal Pd alle ultime politiche” e ora suo maggiore accusatore.

La commissione, guidata da Luigi Berlinguer, in serata decide per una dura reprimenda verso il governatore, ma nessuna espulsione: i garanti dicono no alla nascita di partiti ‘paralleli’ e invitano Crocetta ad abbassare i toni (basta ‘denigrare’ il partito e i suoi dirigenti); fanno sapere infine che terranno d’occhio Crocetta in vista di una ‘verifica’ successiva. Per tutto il giorno il governatore appare essere sereno, “sicuramente non trepidante”: “se vogliono cacciarmi lo facciano pure, se vogliono farmi passare per un eretico, io da sempre sono stato un eretico”.

E mostra sicurezza: “Ieri sera non ho dormito, ma perché sono tornato alle 4 da Ragusa, dove ho riunito la mia giunta” ironizza, mentre denuncia l’ennesimo scandalo alla Regione siciliana, questa volta alla Seus, la società che gestisce il 118 e che secondo il governo avrebbe pagato per due anni 160 dipendenti che in realtà se ne stavano a casa.

“Il mio governo si occupa di questo, non di processi basati sul nulla”.

E passa al contrattacco. Soprattutto non gli vanno proprio giù le accuse del deputato Davide Faraone, leader dei renziani nell’isola, che lo ha definito “professionista dell’antimafia 2.0“.

“È vergognoso”, incalza, “nel mio governo ci sono familiari di vere vittime della mafia”, parole pronunciate davanti ai cronisti, guardando dritto in faccia il suo assessore Lucia Borsellino, figlia del magistrato ucciso nella strage di via D’Amelio, che ha la delicata delega alla Sanità. “Sono disgustato per questi attacchi, questi sì sono atti mafiosi”, prosegue.

Di fronte all’ipotesi dell’espulsione o dell’aut aut, l’ex sindaco di Gela non mostra segni di cedimento: “Nessuno mi può fermare, io vado avanti”. Anche se appare infastidito dal “silenzio” dei dirigenti nazionali. “Mi sarei aspettato una telefonata da Epifani, almeno per dimostrarmi vicinanza” e “invece niente, l’ultima volta l’ho sentito molti giorni fa”. E sottolinea che “il processo” contro di lui arriva in un “momento preciso: il lancio di una questione morale in Sicilia, dove abbiamo scoperto ammanchi e furti alla Regione di centinaia di milioni di euro che coinvolgono una parte del gruppo dirigente regionale del partito”. E difende a spada tratta il suo ‘Megafono’, ribadendo che “non è un partito ma una idea” e rilanciando il progetto federativo col Pd. Dopo averlo esportato in Toscana, proprio in casa Renzi, adesso il governatore prepara una convention del movimento a Palermo.


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