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A #Napoli l’eroina non serve, c’è il gioco della morte della #camorra
29 Set 2015 07:20

 

Ci si chiede che cosa è la camorra e bisogna chiederselo ancora di più ora, che un’autorità dello stato l’ha definita nel dna di Napoli. Ho più di venticinque anni di studi psicanalitici alle spalle, posso offrire un contributo originale.

La camorra ha una diversità rispetto a Cosa Nostra e n’drangheta. Essa è caotica, con protagonisti caotici. Infatti Cosa Nostra aveva solo un paio di clan camorristici considerati interlocutori affidabili, la n’drangheta nessuno.

Il camorrista ha un fare plateale, ovvero il contrario di criminali carismatici delle altre mafie, che sono silenti e preferiscono l’anonimato.

Il camorrista è impulsivo, reagisce nell’immediato, aggiunge vendetta a vendetta con repentinità. In Cosa Nostra si riunivano decine e capimandamento per decidere un omicidio. Molte volte la scelta era più complessa, perché l’associazione era altamente gerarchizzata. Nella n’drangheta gli omicidi sono rari e nelle faide dei paesi aspromontani si attende anche due anni per una vendetta. La mafia sa aspettare, anche la n’drangheta ha tale componente, la camorra brucia tutto in fretta.

Ora che sono apparse nuove leve ventenni, il fenomeno dell’impulsività ha raggiunto il suo acme.

Questo aiuta a capire ancor di più il dna della camorra, quello vero. Per inteccettarlo dobbiamo partire dal principio di autodistruttività dell’uomo. Infatti c’è una percentuale umana che si autodetermina sull’osservazione: “ho una sola vita e me la gioco”.

E’ un dato acclarato.

I consumatori di eroina ne fanno parte, ed essi dimostrano in tutta la loro costante tragedia come portano il loro corpo ed il loro cervello a scomporsi gradatamente. Quando parli del pericolo della morte ad un eroinomane, si nota come non gli importi nulla di morire.

Lo stesso principio si può applicare al funzionamento vita/morte a cui porta la caotica vita di un camorrista. Se parli ad un componente della criminalità aurore di agguati, della propria morte e di quella altrui, non importa niente.

Se il meccanismo di autodistruzione nel Nord dell’Italia porta a condotte spericolate, nella Napoli della camorra l’eroina potrebbe essere superflua. C’è l’attività camorristica a dare quel senso di precarietà di cui alcune vite sentono il bisogno, per stemperare il senso della realtà e l’insopportabilità di essa. Quindi l’indirizzo verso un miraggio: soldi e l’onnipotenza di dare la morte e di incutere rispetto, sentendosi parte di un meccanismo cui prima o poi tutto finisce.

Un paio di decenni fa, ebbi modo di approfondire teoricamente questo meccanismo, applicato alla città partenopea, con una psicanalista argentina, con due nomination al nobel per sue scoperte sulla mente. Ella rafforzò un mio sospetto dicendo appunto: a Napoli l’eroina non serve, c’è il gioco della morte della camorra.

Quindi allorquando ci si chiede perché ci si ammazza come belve per le strade, un riflessione sul senso dell’esistenza bisogna farlo. Un pensiero sull’uomo che porta ai versi: “Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di Sole: ed è subito sera.”

Questi ragazzi di poetico non hanno nulla, ma il nichilismo che volge all’autodistruzione veemente, è la strada maestra.


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