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L’ipocrisia del falso rinnovamento della Calabria. E il coraggio che servirebbe
24 Lug 2014 06:15

In Calabria, come in tutto il nostro Meridione e nell’intero Paese si è ormai perso del tutto il senso dell’autenticità, dell’autorevolezza, del peso e del significato delle parole. Così vale tutto e tutti possono parlare e dire qualsiasi cosa, senza comprenderne il senso, senza incarnarne il significato.

Poiché non si conoscono e si trascurano le storie, non si approfondisce e l’informazione corre a ritmi indiavolati, che nella nostra già frenetica quotidianità fatta di fatica per cercare di arrivare a fine giornata o di portare al successo la nostra StartUp, non consente di arrivare ad avere profili autentici ed autorevoli.

Non consente di capire.

Di conseguenza, quotidianamente ci troviamo di fronte a persone che dicono cose, pontificano, esprimono giudizi “profondi”. Ma alla fine chi sono realmente? Ce lo siamo mai chiesti? È un po’ come giudicare un libro dall’illustrazione di copertina, oppure, una persona da un episodio bello o brutto che sia, ignorando quanto fatto prima e dopo. Siamo storie, siamo fatti di storia, e dalla storia si crea il futuro.

Forse dovremmo cominciare a rivalutare le storie, a conoscerle, a capire che tra il “C’era una volta…” iniziale e il “vissero felici e contenti” finale passa tanta acqua sotto i ponti e la storia si snoda tra picchi e punti neri, tra bontà e disperazione, tra cinismo e menzogna…

Siamo al punto di non ritorno, il nostro Paese si deve svegliare, deve cominciare a comprendere chi può dire certe cose perché le incarna, perché ci crede, perché ne è sinolo di forma e sostanza e chi invece deve stare zitto perché recita una parte menzognera e, dunque, genera un senso negativo, crea la mistificazione, annacquando la narrazione di qualsiasi cosa, addormentando il senso critico e la voglia di cambiare realmente.

La Calabria in questo è purtroppo davanti a tutti, in prima fila, a causa della sua posizione periferica, della mancanza di voglia di comprenderla e scoprirla realmente, della “chiusura” ad un Mondo esterno che spesso non ci capisce e fa di tutta l’erba un fascio, così qui si vive all’estremo il fenomeno della “contraffazione” delle storie. Qui la mistificazione soprattutto per catturare l’attenzione dei media e dei potenti nazionali è all’ordine del giorno.

Abbiamo giovani che parlano di rinnovamento, ma che sono figli di un sistema di cooptazione fiduciaria degno del feudalesimo, che annichiliscono chi davvero lotta per il cambiamento circondandolo con il loro grigiume, portando ad emergere persone che rabbrividiscono davanti ai processi democratici, che si sentono unti dal Signore e intoccabili, che sentono di avere in sé il verbo della verità, ma che in realtà drogano le coscienze senza che nulla cambi realmente. Di fatto cambiano i volti, non cambia il metodo, non cambia il senso e, dunque, non cambia la società che tra frustrazione e discanto va avanti, assuefatta a droghe sempre più forti e oppiacee.

Ci sono innovatori che l’unico senso che conoscono dell’innovazione è la caccia ai finanziamenti (grazie al calcio nel sedere dell’amico dell’amico), alla linea corretta, ai Venture Capital, ai grant d’impresa, al settore più remunerativo, al palco scenico per raccontare quanto sono bravi; senza passione, senza sogni, senza amore per i propri progetti, per la propria terra, per la propria squadra, senza una cultura e uno studio che porti ad un progetto realmente innovativo. Così si replicano prassi, si fanno adattamenti sterili, come se l’innovazione possa essere “brandizzata”.

Senza comprendere che l’innovazione persino nella Silicon Valley è nata dai sogni di alcuni giovani valorosi, che hanno scommesso su loro stessi e sulle proprie idee, che hanno generato con sacrificio. E solo dopo dai capitali di investitori lungimiranti e liberi da cappi politici e potentati, che qui continuano ad indirizzare verso chi DEVE avere e chi invece deve lottare da solo col mercato, con un coltellino svizzero in mano, la sua passione e le lacrime a rigargli il volto, tra un momento di scoramento e la voglia di non mollare e continuare a lottare, perché “non è giusto che finisca così un sogno”.

Così gli innovatori che dovrebbero fare il lifting ad un Paese in crisi d’identità e di ossigeno, ne sono il palliativo, incapaci di competere all’estero e di attirare investitori, incapaci di incidere nelle proprie realtà e di tirarne fuori le peculiarità e i punti forza e vantaggio.

Per non parlare di alcuni uomini e donne della società civile, dell’anti-ndrangheta, spesso più ndranghetisti nella mentalità e nei modi di chi si fregiano di combattere, per poi scappare con la medaglia al petto e pontificare a distanza, magari con disprezzo, mentre qui tanti in silenzio restano sulla frontiera, nella trincea a combattere e resistere, a non cedere la posizione alla zona grigia o peggio ancora a quella nera. Senza scorta, senza protezione, senza riconoscimento, solo con la paura e la piena coscienza di non poter mollare. E le storie di questi ultimi restano sconosciute, perché sono la normalità qui, sono la quotidianità di un terra di frontiera che è fatta anche di tanta gente di valore e coraggio, con e senza la divisa.

Questo circolo vizioso di frustrazione e solitudine da un lato e mistificazione dall’altro può e deve essere rotto, dalla società dell’informazione, quella vera, quella che raccoglie le informazioni, le testimonianze, si accerta dei fatti e della veridicità dei racconti e poi crea la sua narrazione. Solo così potremo avere realmente un futuro, un rinnovamento, una nuova classe politica e dirigente che si riconosca e incarni nuovi valori e sappia di conseguenza creare una nuova storia comune e condivisa, un nuovo modo di intendere l’autenticità e l’autorevolezza, creato dal basso, da storie che si fondono, da persone che si stimano e non da “funghi” che spuntano dalla sera alla mattina con una benedizione “occulta” e d’improvviso ci raccontano di meraviglie e rinnovamento.

C’è bisogno finalmente, in barba all’educazione e all’utilitarismo personale, alle amicizie e al quieto vivere, di tornare a dire “No!”; in maniera ferma, c’è bisogno di opporsi a chi mistifica portando a galla le storie vere, mettendo a confronto realtà e fiction, permettendo a tutti di discernere tra chi tra un inciampo e l’altro ha creato una propria storia e chi invece è artefatto per imbonire e guidare il gregge, figlio di un sistema che ci sta portando al fallimento.

Chi ha le informazioni, chi ha voglia di cambiare non può più “inchinarsi”, deve avere il coraggio di fare dei distinguo netti, perché altrimenti in questo mondo in toni di grigio (che finiscono nel nero più profondo e desolante) il merito si perde e ha inizio la “mediocrazia”, dove si è tutti più o meno uguali, senza storie, senza futuro… senza speranza.


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