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Gli americani chiudono la fabbrica hi-tech e i dipendenti la ricomprano
29 Apr 2013 11:54

Avezzano – Appena dieci mesi fa era un disastro. La Micron, multinazionale americana di microelettronica, aveva annunciato che non era più interessata a tenere aperto il suo stabilimento di Avezzano. Voleva lasciare l’Abruzzo, dismettendo 1623 posti di lavoro (di cui 700 già in cassa integrazione). Un’apocalisse occupazionale per un piccolo territorio che si trova alle porte del cratere sismico dell’Aquila, già martoriato dal terremoto.

Dopo quell’annuncio era scoppiato il caos, e quella fabbrica che per vent’anni era stata il polmone occupazionale della Marsica (garantendo da sola il 35 per cento dell’occupazione del territorio) era diventata di colpo la più grande emergenza occupazionale dell’Abruzzo. Gli operai – attraverso tutte le sigle sindacali – erano subito scesi sul piede di guerra: scioperi, presidi fuori ai cancelli e incontri al ministero dell’Economia.

Era anche arrivata una proposta di acquisto da parte di una società tedesca, LFoundfry, ma l’affare rischiava di saltare perché, alla fine, il nodo da sciogliere tra Usa e Germania per la cessione dello stabilimento era uno solo: la governance.

Poi, dopo trattative estenuanti e fiato sospeso, a marzo di quest’anno è arrivata la svolta.

E “il miracolo”, come lo definiscono alcuni dipendenti lungo i corridoi della fabbrica, l’ha fatto un manager, Sergio Galbiati.

Lui, country manager della Micron, ha presentato le dimissioni dalla sua azienda e si è lanciato in un’impresa “folle”: acquistare insieme ad altri colleghi e dipendenti della fabbrica il 51 per cento dello stabilimento entrando in società con i nuovi acquirenti tedeschi. Così dalle ceneri della Micron di Avezzano ora nascerà la Marsica Innovation Technology, formata al 51% dalla Jv Marsica srl e per il 49% dalla tedesca LFoundry.

E il capitale della Jv Marsica sarà formato per il 31% dal management ex Micron – in prima fila Sergio Galbiati, direttore di Micron Italia, e Riccardo Martorelli, numero uno del sito avezzanese – e per il restante 20% ci saranno quote acquisite dai lavoratori (sotto forma di azioni).

L’idea è di proporre sul mercato nuovi prodotti capaci di rilanciare il polo, nel campo dell’automotive, del servizio elettromedicale, delle videocamere per impianti di sicurezza, dei sensori per laboratori scientifici e delle applicazioni in campo energetico.

Una grande sfida ma possiamo farcela – racconta Galbiati – Noi siamo pronti a metterci in gioco come abbiamo sempre fatto, tenendo questo sito produttivo in vita e prospero per 14 anni, senza beneficiare di alcun tipo di supporto pubblico e avendo attratto 1,3 miliardi di dollari di investimenti esteri diretti che potevano liberamente andare altrove. Negli anni – sottolinea Galbiati – abbiamo gettato le basi per poterci muovere ora in un settore meno capital intensive, ma altrettanto o più sfidante sul piano dell’imprenditorialità».


Ma la Fiom Cgil resta scettica. “Certo, questa al momento è l’unica strada percorribile – commenta Alfredo Fegatelli, segretario regionale del sindacato – ma non dobbiamo pensare che è tutto risolto. Avremmo preferito che la Micron fosse rimasta all’interno del progetto, in un’ipotesi di consorzio. Ora ci troviamo di fronte ad un partner tedesco che ha la metà dei nostri dipendenti e la guida aziendale è stata affidata ai nostri manager che si sono lanciati in una sfida imprenditoriale per la prima volta. Vogliamo studiare bene il piano industriale e capire dove prederanno le risorse e le commesse per mantenere in vita una fabbrica che costa 6 milioni di dollari a settimana”.

Galbiati, intanto, fa una promessa: “ridurremo gli esuberi al minimo, spero non oltre le 100 unità. Stiamo lavorando al progetto. Ci vorrà tempo, sarà un approdo progressivo. Ma ce la faremo”.


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