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Il tesoro nascosto nei fondali di Gela
02 Gen 2015 07:51

Dopo averli custoditi nella sua sabbia per 2600 anni, il mare di Gela ha restituito, intatti, 39 lingotti di un metallo pregiato, l’Oricalco, che nell’era arcaica era al terzo posto per valore commerciale, dopo oro e argento. Ritrovata anche una macina in pietra lavica e legno perfettamente conservata e una statuetta “ex voto” raffigurante la Dea Demetra, di circa 30 centimetri.

Li hanno scoperti i volontari dell’associazione ambientalista “Mare Nostrum”, diretta da Francesco Cassarino, a poche decine di metri dal litorale di contrada “Bulala”, una zona dove, in passato, sono state rinvenuti i relitti di tre navi arcaiche. Le correnti marine hanno riportato alla luce un “tesoretto” archeologico unico nel suo genere per tutta l’area del Mediterraneo. L’Oricalco ha un colore molto simile all’oro.

Quando, informata la soprintendenza al mare, i sommozzatori della Capitaneria di Porto, della Guardia di finanza e della stessa soprintendenza hanno recuperato i lingotti, ancora luccicanti, hanno pensato che si trattasse proprio di oggetti d’oro.

“E’ proprio quando ci sono le mareggiate – ha detto Pietro Carosia, comandante della Capitaneria di Porto di Gela – che il mare restituisce questi tesori”.

Un’analisi strumentale con “fluorescenza a raggi X” ha sancito però che non di oro si tratta ma di una lega di metalli composta per l’80% di Rame e per il 20% di Zinco e realizzata con tecniche avanzate, la cui lavorazione, i coloni geloi, di origine rodio-cretese avevano appreso dai fenici.

Secondo il soprintendente al mare, Sebastiano Tusa, i lingotti di Oricalco erano in arrivo a Gela, quando la nave che li trasportava affondò forse per il maltempo. Questo metallo pregiato sarebbe stato destinato a un artigianato locale di alta qualità. Veniva impiegato infatti per decorazioni di particolare pregio, soprattutto per armature e templari. A conferma del suo valore interviene uno scritto di Platone secondo cui “erano di Oricalco il muro dell’acropoli di Atlantide e la colonna nel tempio di Poseidone, sulla quale erano scritte le leggi”.

I romani, ai tempi di Augusto, coniarono monete con questo metallo che veniva estratto in Anatolia e chiamato “rame di montagna”. “Questa scoperta – ha sottolineato Sebastiano Tusa, sovrintendente del Mare della Regione siciliana – dimostra come Gela sia stata una città particolarmente ricca. Continueremo a scavare nella zona per comprendere meglio cosa il mare continui a custodire in una delle aree che negli anni si e’ rivelata particolarmente ricca e interessante”.

La Regione Sicilia, però, non disporrebbe delle risorse necessarie, anche se si tratta di cifre modeste. Il sovrintendente al mare spera di poter accedere ai fondi strutturali, a quelli europei e “alle possibili quanto auspicabili sponsorizzazioni da parte di privati”.

Il materiale recuperato sarà esposto nel museo archeologico di Gela.


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