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La lettera della #DeGirolamo al #Papa e le tensioni di un momento storico
31 Gen 2016 08:25

Venerdì 29 gennaio, è apparso in taglio alto su Il Mattino di Napoli, il seguente titolo: “Io, mia nipote e quel divieto di fare la madrina.” Una lettera aperta al papa, incongetturabile sino a Benedetto XVI, plausibile con Papa Francesco, da quando egli stesso sdoganò l’interlocuzione alla sua persona, con una risposta ad un editoriale di Eugenio Scalfari.

Non ho letto l’articolo, pur volendo,  per il solo fatto che consultando i quotidiani per questioni di studio, uso criteri di panoramica informativa, in quanto il quadro del tempo a disposizione per la lettura in generale, va centellinato con cura.

Il giorno seguente, sempre sullo stesso giornale, ho trovato ciò che  è seguito alla lettera. La circostanza che riguardasse il beneventano, terra dove ho vissuto per vent’anni, e per via che il pezzo era firmato da Gigi Di Fiore, componente della community di Resto al Sud, mi ha portato a leggere l’articolo. Ma a quel punto dovevo leggere anche la lettera, cosa poi esperita con dovizia.

Il caso è un po’ controverso. Dalle parole della De Girolamo, deputato eletto nel Sannio, sembra che ci sia un atteggiamento inflessibile di un prete nel negare un diritto soggetto ad opinabilità. Nella fattispecie: due comportamenti diversi per due circostanze analoghe, una di queste riguardante il marito. Ma volendo avere un atteggiamento gesuitico, il consorte è cresimato, lei no, come per ammissione della stessa. I casi quindi non sono sovrapponibili.

Avendo  frequentato, per ragioni storiche, tutti gli scismi delle religioni, so che è bastata una circostanza banale per dividere milioni di persone e dunque la loro sorte. Non mi riferisco certo alla consustanziazione, ma alle interpretazioni di una frase della bibbia o di una circostanza.

Quindi le eterogeneità interpretative non sono il focus cui bisogna riferirsi, quanto la parte umana di una richiesta, che suona come un appello ad uscire dai canoni di una chiesa troppo attenta ad esludemdum per i tempi che viviamo.

La risposta del prete sulla “quaestio” è stata serena, nonostante il suo stupore per la lettera. Ciò si evince leggendo Di Fiore e rimiramdo la foto che accompagna l’articolo. Ci si aspetta la faccia arcigna di un prete di paese, aduso alle avversità della sofferenza, e viene fuori il volto sorridente di un giovane.

Rimane comunque sul tavolo: una richiesta ed una risposta. Una richiesta di apertura e una risposta di dovizia canonica.

Volendo esprimermi, credo che l’intento della Di Girolamo non fosse quello di cercare un viatico per accedere ad un desiderio che attiene alle sfere del’anima, quanto denunciare la perentorietà di un regolamento, quasi punitivo, per una circostanza non essenziale e nemmeno incidente, per la dottrina cattolica ed il suo dogma.

Dico credo, perché ogni lettera si pone poi alla “lettura”, e quindi alla inevitabile soggettività dell’Io.

Posso concludere segnalando la tensione emotiva cui tutti siamo sottoposti in Italia, davanti a tematiche che riguardano la fede. Viviamo un momento storico importante per il cambiamento del nostro sistema giuridico, in tema di diritti civili. Se non fosse in atto tale dinamica non avrei scritto probabilmente questo pezzo.

Noi italiani, abbiamo vissuto e viviamo, con la vicinanza fisica del papato, oltre che con la sua influenza spirituale e culturale. Benevento, poi, è stata enclave vaticana fino all’unità d’Italia e ha nella sua cultura gli inevitabili riflessi di questa circostanza. Quindi tutti i cambiamenti inerenti questioni religiose, che si riflettono nella laicità dei diritto e quindi nella nostra vita futura, sono e saranno sempre molto tribolati rispetto alle altre nazioni.  Quantomeno sofferti nelle dinamiche.

Evitiamo dunque paragoni infondati.


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