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La Reggia di Carditello è il riscatto del Sud
11 Giu 2014 06:26

Il libro di Nadia Verdile ‘La reggia di Carditello’ racconta con rigore e insieme con passione la storia di uno tra i siti più belli e più – dolorosamente – trascurati del nostro Paese: una storia le cui alterne vicende, di luci e ombre, sono ben sintetizzate nel sottotitolo del volume, «Tre secoli di fasti e feste, furti e aste, angeli e redenzioni», che allude innanzitutto all’antico splendore di quella che fu insieme tenuta di caccia e azienda agricola altamente specializzata, capace di assurgere a modello per le pratiche agricole e zootecniche e di meritarsi l’ammirazione persino di Goethe.

Ed è proprio alle parole di quest’ultimo che si deve una vivida descrizione, ricordata anche nel libro, della costruzione di Carditello e dei festeggiamenti che ne celebrarono il completamento; descrizione che si chiude con il celebre aneddoto secondo il quale re Ferdinando IV, «molto contento del fatto che tutto si era svolto bene e allegramente», avrebbe ringraziato il pittore Philipp Hackert e avrebbe esclamato: «Questo è l’unico palazzo, tra quelli che possiedo, che sia finito e completamente ammobiliato!».

Fin qui i «fasti» e le «feste».

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Purtroppo, come è ben noto, la vicenda novecentesca della Reale tenuta di Carditello è di segno assai diverso: i «furti» e le «aste» evocati subito dopo nel sottotitolo sono infatti causa e allo stesso tempo conseguenza dello stato di progressivo abbandono che ha esposto il sito a una condizione di crescente degrado, tra lottizzazioni e vendite della tenuta, passando per l’occupazione militare tedesca durante il secondo conflitto mondiale, fino alla recente messa all’asta del complesso monumentale.

Gli «angeli», infine, sono i tanti cittadini che in questi anni hanno, con coraggio e determinazione, cercato di contrastare il degrado, i tanti membri delle associazioni votate alla difesa, alla manutenzione e alla valorizzazione di Carditello; e tra questi, in particolare, Tommaso Cestrone, il volontario che si occupava, a titolo gratuito, di custodire il giardino e gli arredi dalle incurie e dalle ruberie, e che ho avuto l’onore di conoscere durante la mia visita alla tenuta lo scorso 26 ottobre, due mesi prima della sua improvvisa scomparsa. Tommaso è stato un esempio, ed è ora divenuto un simbolo, del forte legame anche affettivo della comunità con un luogo così importante dal punto di vista storico, artistico e simbolico; un esempio e un simbolo della consapevolezza della Reggia di Carditello come di un bene comune, e della determinazione a tutelarla, conservarla, prendersene cura, con impegno, senso di responsabilità e spirito di sacrificio.

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Ed è proprio per rispondere a questo sentimento condiviso che lo scorso 9 gennaio 2014 una società controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze ha acquistato nel corso di un’asta giudiziaria la Reggia, per poi trasferirla al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, nell’ambito di un progetto che prevede lo stanziamento di tre milioni di euro per i primi lavori di restauro e la costituzione di una Fondazione con tutti gli Enti locali e i Ministeri dell’Ambiente e dell’Agricoltura per la gestione: un momento storico per Carditello, che è stata, in questo modo, finalmente restituita alla comunità, al termine di un percorso che è ben ricostruito da Nadia Verdile in questo prezioso libro che dà conto della storia del sito, divenuto «da tenuta reale a metafora di un’Italia in declino», come si legge nel titolo del primo, ampio capitolo; ma dà conto anche della cronaca più recente, fino al crollo dell’abbaino avvenuto lo scorso 21 ottobre – ennesimo campanello d’allarme, destinato però questa volta ad innescare un circolo virtuoso – e all’acquisizione di Carditello da parte dello Stato; e, infine, dell’azione svolta dagli «angeli di Carditello», ai quali è dedicato il terzo e ultimo capitolo: i volontari di Agenda 21 per Carditello e i Regi Lagni, di Italia Nostra, del FAI – Fondo Ambiente Italiano, di Orange Revolution, del Touring Club Italiano, e infine, e soprattutto, Tommaso Cestrone.

Per la storia che racconta, ma anche per come la racconta, il libro di Nadia Verdile invita a una riflessione più generale: l’acquisizione di Carditello da parte dello Stato costituisce, infatti, anche l’occasione per riflettere su un necessario cambio di paradigma nel rapporto della comunità e delle istituzioni con il patrimonio culturale e ambientale; e può – e deve – diventare il simbolo della volontà di tutto il Mezzogiorno di operare un cambiamento forte, di una comunità che si prende a cuore la propria eredità culturale e storica, ne rende i siti fruibili per la collettività intera e disegna, intorno e sulla base di questo valore, un futuro di lavoro e di benessere. Ho avuto più volte occasione di insistere, in questi mesi di impegno nella politica e nelle istituzioni, su come l’idea di memoria e quella di comunità siano due temi centrali, strategici per il presente e il futuro del nostro Paese: come fattore di identità e di coesione sociale, come scelta di responsabilità nei confronti del bene comune, come occasione di scambio con le culture altre, ma anche come opportunità per la crescita, l’occupazione, lo sviluppo.

Nel Mezzogiorno è presente circa la metà dei siti culturali italiani, ma sappiamo che il numero dei visitatori non è proporzionato alla quantità e all’importanza di questo straordinario patrimonio, e si concentra in gran parte nei siti di Pompei, di Ercolano e della Reggia di Caserta, trascurando quindi molte altre realtà. La risposta a questa situazione deve essere un’opera accorta di valorizzazione, anche in chiave turistica, del patrimonio artistico, architettonico e culturale: un obiettivo che si può raggiungere, da una parte, sviluppando e incentivando una forma di turismo culturale consapevole e responsabile, capace di mettere a frutto in modo innovativo e creativo le proprie risorse e le proprie potenzialità, innanzitutto attraverso un incontro accortamente preparato dell’esperienza turistica con la dimensione culturale dei tempi e dei luoghi dei quali le mete visitate sono espressione; dall’altra, puntando su un impiego attento delle nuove tecnologie, che possono rendere la visita a un monumento, a un museo o a una mostra un’esperienza multimediale e interattiva, a beneficio sia del coinvolgimento sia dell’apprendimento delle conoscenze.

Ancora – e soprattutto – recuperando e valorizzando il cosiddetto ‘patrimonio diffuso’, con riferimento a quell’aspetto spesso trascurato, ma in effetti peculiare del nostro patrimonio artistico e culturale, che consiste proprio nel suo essere pervasivamente diffuso, quasi senza soluzione di continuità, in tutto il territorio. Accanto ai grandi monumenti, ai più famosi siti archeologici, ai musei noti in tutto il mondo, l’Italia possiede e custodisce infatti una innumerevole quantità di opere, edifici, luoghi di eccezionale valore artistico e interesse storico. Si tratta di luoghi che spesso rimangono almeno in qualche misura ‘nascosti’, quando non sono addirittura lasciati esposti all’incuria e al degrado, ma che invece vale la pena di riscoprire e valorizzare come essi meritano, anche come opportunità per il rilancio dell’economia e dell’occupazione qualificata. La Reggia di Carditello può diventare un esempio e un modello da questo punto di vista: un bene comune troppo a lungo trascurato e lasciato in condizioni di abbandono, che viene restituito alla comunità e valorizzato dal punto di vista culturale e turistico, sino a diventare un punto di riferimento positivo per il territorio, insieme polo di coesione sociale e opportunità dal punto di vista occupazionale.

Ma vorrei sottolineare anche – avviandomi a concludere queste brevi riflessioni che ho voluto sottoporre alla vostra paziente attenzione – come con la restituzione di Carditello alla comunità lo Stato abbia tenuto fede a quello che è un suo compito e un suo dovere, esplicitamente enunciato all’articolo 9 dalla carta fondativa della nostra democrazia, dove si legge che «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». È un impegno che siamo chiamati a realizzare ogni giorno tutti, all’interno e al di fuori del mondo della politica e delle istituzioni. Come scrisse Piero Calamandrei, «la nostra Costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà. In parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno, un lavoro da compiere»; e ancora: «La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile. Bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità». Ed è proprio questo che ha fatto in questi anni, con senso di responsabilità, impegno e spirito di sacrificio, Tommaso Cestrone, ed è questo che hanno fatto insieme a lui i tanti altri «angeli di Carditello».

Concludo ricordando le parole con le quali il presidente Ciampi – nel suo intervento in occasione della consegna delle medaglie d’oro ai benemeriti della cultura e dell’arte, il 5 maggio 2003 – indicava nella cultura il fondamento della nostra identità nazionale: «è nel nostro patrimonio artistico, nella nostra lingua, nella capacità creativa degli italiani che risiede il cuore della nostra identità, di quella Nazione che è nata ben prima dello Stato e ne rappresenta la più alta legittimazione. L’Italia che è dentro ciascuno di noi è espressa dalla cultura umanistica, dall’arte figurativa, dalla musica, dall’architettura, dalla poesia e dalla letteratura di un unico popolo. L’identità nazionale degli italiani si basa sulla consapevolezza di essere custodi di un patrimonio culturale unitario che non ha eguali al mondo».

È questa consapevolezza evocata dal presidente Ciampi che deve indurci tutti a una scelta di responsabilità: la responsabilità di prenderci cura di quanto abbiamo ricevuto in eredità, di quanto ci è stato affidato da chi è venuto prima di noi, a cominciare dal nostro staordinario patrimonio artistico e culturale; e non meno la responsabilità di prenderci cura, accanto al lascito della storia e delle opere dell’uomo, di quello – altrettanto prezioso e ‘fragile’ – rappresentato dall’ambiente e dal paesaggio. «La folle avidità degli uomini – scriveva Seneca quasi duemila anni fa – divide tutte le cose in possessi e in proprietà esclusive, e pensa che ciò che è un bene comune non sia anche di ciascuno. Ma il saggio niente considera maggiormente suo che quel bene di cui ha in comune la proprietà col genere umano». La nostra speranza, e il nostro impegno, devono essere quelli di fare di Carditello un esempio e un modello in vista di un rapporto diverso, e migliore, del Paese con quello straordinario bene comune che è rappresentato dalla sua storia, dalla sua arte, dalla sua cultura.

 Nota: questo testo raccoglie il mio intervento pronunciato a Caserta il 5 giugno 2014, al Teatro Don Bosco, in occasione della presentazione del libro di Nadia Verdile ‘La reggia di Carditello’, edito da Ettore Ventrella.

Fonte: www.massimobray.it


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