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La ricercatrice che si batte contro la petrolizzazione dell’Abruzzo. “Vinceremo noi”
14 Gen 2014 07:05

“Quello appena trascorso, tutto sommato, è stato un buon anno per la lotta contro l’Abruzzo petrolizzato,  specie se si pensa da dove siamo partiti parecchio tempo fa, con lo spettro angosciante del Centro Oli di Ortona (Chieti), un mostro che sembrava impossibile da sconfiggere. Da allora, molti passi in avanti sono stati fatti, nonostante la mediocre classe politica che in sei anni non è mai riuscita a guidare la popolazione – in tema petrolio almeno – ma solo a rispondere alle pressioni poste dai cittadini, e spesso in extremis”.

Inizia così Maria Rita D’Orsogna, ricercatrice originaria di Lanciano (Chieti), che vive e lavora negli Usa, presso la California State University, impegnata a contrastare gli ecomostri di cui si sta cercando di riempire soprattutto il centro sud Italia, dall’Abruzzo alla Sicilia.

“Il 2013 – afferma – si apre in sordina, con il misterioso sversamento in mare di quello che la stessa ditta petrolifera Edison definisce “idrocarburi”, dalla piattaforma Rospo Mare al largo delle coste di Vasto (Chieti), tra i più grandi giacimenti off shore del Belpaese. Vengono fotografati gabbiani dal petto annerito da una sostanza che pare in tutto e per tutto petrolio. Dopo qualche giorno, – prosegue – la Edison, nella bufera, corregge il proprio annuncio e dichiara che si tratta solo di un misto di “erba e fango”, quello trovato nelle acque dell’Adriatico, creando l’inquietante interrogativo: come mai ci hanno messo quattro giorni a comprendere la differenza fra fango e petrolio? Una ditta il cui scopo è di estrarre petrolio, veramente non sa capire la differenza fra le due sostanze? Le inchieste della magistratura sono aperte e probabilmente si dovrà  attendere ancora per scrivere il finale di questa vicenda che ci ricorda, ancora una volta, la fragilità e la delicatezza delle operazioni petrolifere ed i rischi per il nostro mare”.

“Passata l’emergenza “Rospo Mare”, – prosegue la ricercatrice – torna l’incubo “Ombrina Mare”, la piattaforma proposta dalla multinazionale inglese Medoilgas con cinque  pozzi di petrolio da realizzare a sei chilometri dalla Costa dei Trabocchi, in provincia di Chieti, con annessa nave desolforante FPSO,  con progetti di fracking ed acidificazione. “Ombrina Mare”, che dovrebbe sorgere tra l’altro in una zona destinata a diventare Parco nazionale, era stata già bocciata nel 2010 grazie all’invio di osservazioni  da parte della popolazione e grazie al decreto Prestigiacomo che poneva  una fascia di protezione di nove chilometri dalla riva lungo tutto il perimetro costiero italiano. Il decreto Sviluppo del ministro Corrado Passera del 2012 ha successivamente riaperto la partita, imponendo un limite di venti chilometri, e dunque più stringenti dei nove della Prestigiacomo, ma solo per progetti futuri. Per quelli già in intinere, inclusa “Ombrina”, si è tornati al far west petrolifero. Decaduta la bocciatura precedente, la Medoilgas annuncia che i lavori andranno avanti. La risposta degli abruzzesi è meravigliosa: scendono in piazza in 40 mila a Pescara a protestare il 13 aprile, trascinando amministratori e politici e ponendo su di loro l’onere di agire nel concreto per scongiurare la distruzione del litorale chietino e tutelarlo in modo da farlo restare così come lo conosciamo. Gianni Chiodi, il governatore della regione, non è presente”. 

“Sorpreso da così tanto attivismo – evidenzia Maria Rita D’Orsogna – , Sergio Morandi, l’amministratore delegato della Medoilgas, intraprende una vera battaglia mediatica:  scrive alla stampa nazionale sfoggiando dati e fatti secondo me distorti; compare su varie televisioni abruzzesi; se la prende con la Chiesa cattolica intervenuta a difesa del mare e del territorio,  ed apre persino un info-point ad Ortona per propagandare la bontà dell’operazione “Ombrina Mare”. 

Purtroppo nonostante il “no” di massa alla piattaforma e ai pozzi, la concezione del bene comune in Italia non impone a chi governa di trovare soluzioni vere, durevoli, e soprattutto preventive per il futuro e per casi simili nel resto dello Stivale. E così, invece che fare la cosa giusta, e cioè includere nella fascia di protezione dei venti chilometri da riva progetti futuri ed in itinere, la politica decide di trovare escamotage ad arte. Si impone alla Medoilgas di avviare una Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) come dettato dall’Unione europea. Questo processo è lungo e oneroso per le ditte proponenti: occorrono vari anni per completarla. L’idea di base è di tirarla per le lunghe: si pensa che sarà così  complicato e porterà via così tanto tempo alla Medoilgas che, chissà, magari rinuncerà da sola o, peggio ancora, che la patata bollente in futuro passerà a qualcun altro”.

“Tipicamente italiano, no? La Medoilgas – spiega D’Orsogna –  appoggiata anche da Confindustria, presenta allora ricorso al Tar (Tribunale amministrativo regionale) del Lazio, chiedendo che la richiesta di AIA venga annullata. Vari Comuni, incluso quello di Vasto (Chieti) decidono di partecipare al giudizio, opponendosi alla Medoilgas”. Il Tar probabilmente si pronuncerà nei primi mesi di quest’anno.

“Non sappiamo – viene detto – come andrà a finire: sono battaglie lunghe e spesso giocate dietro le quinte. Tutto quello che possiamo fare è di continuare a mettere pressione a tutti i politici, di ogni colore, affinché lavorino per il bene comune. Gianni Chiodi, Fabrizio Di Stefano, Giovanni Legnini devono sentire la pressione di noi tutti, e rendersi conto che non accetteremo niente di diverso se non una bocciatura completa di Ombrina e che ne va delle loro carriere politiche”.

“La battaglia che invece è conclusa, per ora almeno, – afferma Maria Rita D’Orsogna – è quella della raffineria di Bomba, piccolo centro collinare del Chietino, e dei cinque pozzi di gas nella concessione denominata “Monte Pallano”. Ci sono voluti quattro anni, innumerevoli dibattiti e continui smascheramenti della propaganda parte dell’americana Forest Oil di Denver che voleva convincere l’Abruzzo che trivellare in riva ad un lago artificiale, in zona idrogeologicamente instabile e rischiosa, era cosa e buona e giusta, ma alla fine tutto l’impegno profuso, specie dal Comitato Gestione Partecipata del Territorio, guidato da Massimo Colonna, è stato premiato. Il no finale della commissione Via (Valutazione impatto ambientale) della Regione viene pronunciato in novembre, per la gioia degli abruzzesi”.

“A dicembre arrivano altre vittorie, entrambe a scapito della Medoilgas di Sergio Morandi, deciso a bucare l’Abruzzo in lungo e largo:  la bocciatura finale alla proposta di trivellare il pozzo “Santa Liberata” a Scerni (Chieti) e la rinuncia volontaria della Medoilgas all’intera concessione “Civitaquana”, che abbraccia le province di Chieti e Pescara”.

Medoilgas, va ricordato, nel 2012,  ha stretto affari con Tony Hayward, l’ex amministratore delegato della British Petroleum. “A Mr Hayward e alla British Petroleum – rammenta Maria Rita D’Orsogna – è associata la più grande sciagura ambientale della storia americana: l’incidente alla piattaforma petrolifera Deepwater Horizon nel golfo, del Messico, con conseguente sversamento di petrolio nelle acque”. Il disastro della British Petroleum risale al 20 aprile 2010. La piattaforma Deepwater Horizon gestita dalla Bp operava nel Golfo del Messico a circa 80 km dalla Louisiana. Un incendio di dimensioni spropositate, quel giorno, ha portato alla morte di 11 persone ed al ferimento di molte altre. Due giorni dopo la piattaforma è affondata rilasciando in acqua dai 35.000 ai 60.000 barili di petrolio al giorno: una catastrofe di cui si stanno ancora pagando le conseguenze.

Tornando all’Abruzzo… “I guai di Medoilgas non sono concentrati solo nella parte meridionale della regione. Forti mobilitazioni – sottolinea la ricercatrice – ci sono anche nel Teramano, dove la commissione Via approva i pozzi di gas della concessione “Colle dei Nidi”. Il presidente della Regione, Gianni Chiodi, per giustificare questa decisione, in un messaggio inviato alla popolazione, ricorda che i pozzi di gas e quelli di petrolio sono diversi fra loro, mostrando di non avere a cuore il problema del petrolio in Abruzzo. Le tecniche usare per estrarre gas e petrolio, l’inquinamento associato, i rischi di sismicità indotta, subsidenza e scoppi sono infatti del tutto simili – fa presente D’Orsogna -. Tentare quindi di creare distinguo inesistenti è segno di ignoranza o di malafede, entrambe inaccettabili per un governatore di regione”.

Altre concessioni sono ancora in standby oppure all’inizio dell’iter autorizzativo, come “Villa Mazzarosa” e “Villa Carbone” nell’entroterra teramano, “Turchese” nei mari di San Vito (Chieti), “Elsa” in quelli del Vastese (Chieti).

“Il filo conduttore che lega tutte queste vicende – dichiara Maria Rita D’Orsogna – è la partecipazione popolare. Ogni volta che in Abruzzo o in Italia, si creano dei movimenti di attivisti, diventa sempre più difficile per i petrolieri spuntarla. Non è un caso che la politica abbia sempre giocato un ruolo marginale: le vittorie sono di noi tutti che ogni giorno informiamo, protestiamo, esigiamo che i nostri territori vengano rispettati. I politici mettono la firma, a magari fanno annunci portentosi, ma la volontà ed il motore di tutto siamo noi che li tampiniamo, senza lasciargli un centimetro”.

“Per l’Abruzzo, quest’anno, l’augurio è che si possa finalmente giungere alla perimetrazione definitiva del Parco nazionale della Costa teatina, che oltre ad essere uno strumento in più per la difesa delle coste dal petrolio, sarà anche un valore aggiunto, in positivo e di crescita costruttiva, in termini di qualità di vita, economici e di immagine, per l’intera regione.  Per gli abruzzesi – conclude la ricercatrice –  invece l’augurio è che tutti si impegnino per quel che possono, con il tempo e le competenze di ciascuno impegnati per la difesa dell’ambiente e quindi della salute. Abbiamo tanti problemi che reclamano una voce di denuncia e di cambiamento:  i nostri fiumi tutti inquinati, le riserve e i parchi che necessitano di più fondi e di più attenzione, il proliferare inutile di cave e discariche, il ripristino di zone verdi nelle città. Lavorare per una causa giusta, senza necessariamente avere dei ritorni personali, è stancante e difficile, ma alla fine, dà ricchezza e un senso speciale ai nostri giorni”.


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