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La ricercatrice della “Terra dei Fuochi” torna dall’America per salvare la sua terra
26 Feb 2014 08:18

Per anni, Paola Dama ha vissuto a Villaricca, nel cuore della Terra dei Fuochi, uno dei settanta e passa comuni che rientrano nell’area dei veleni e dei roghi.  E non ha dimenticato la puzza dei roghi tossici, l’odore acre che ti prende alla gola e fa male ai polmoni, che ti spinge a chiudere le finestre anche quando fuori ci sono quaranta gradi. Paola Dama ora vive nell’Ohio.

Fa la ricercatrice in una delle università più prestigiose del mondo. Ma proprio da qui ha messo su  “Pandora” una task force di esperti internazionali per aiutare la sua terra. L’obiettivo? Far sentire la voce degli scienziati su un fronte che, negli ultimi mesi, è diventato un campo di battaglia mediatico: copertine gridate, dati da far accapponare la pelle, rivelazioni-choc di pentiti, statistiche agghiaccianti, una vera psicosi che ha allarmato i cittadini, ha portato la vicenda sulle prime pagine dei quotidiani nazionali e ha fatto crollare le vendite di tutto quello che un tempo si coltivava nella cosiddetta “Campania Felix”. Un danno di immagine irreparabile.

L’idea della task force è maturata durante la manifestazione del 26 ottobre, quando le strade di Napoli vennero invase da un esercito di cittadini stanchi dei morti ammazzati dai veleni. “Noi scienziati, dovevamo fare qualcosa, non potevamo restare inermi di fronte al disastro”.

Così, quando si è trattato di trovare un nome alla task force, Paola Dama si è ricordata del vaso donato da Zeus a Pandora con la raccomandazione di non aprirlo. La donna, che aveva ricevuto anche il dono della curiosità, non seppe resistere alla tentazione: aprì il vaso liberando tutto il male e lasciando, nel fondo, la speranza. In poco tempo tutto divenne un deserto di dolore.

Solo quando Pandora riaprì ancora il vaso, il mondo riprese a vivere. “E’ il nostro modo per dire che accanto al male c’è sempre la forza di combatterlo e di sconfiggerlo. Non possiamo arrenderci, dobbiamo imparare a reagire. Oggi, in giro, c’è un grande rischio di essere strumentalizzati, utilizzati. Non è possibile che la gente scende in piazza perché in ogni famiglia c’è una persona morta per cancro. Agire sull’onda emotiva non farà cambiare le tristi sorti del nostro Paese, perché si continua a ragione nei termini individuali e non di collettività.  Bisogna invece essere indignati già per il solo fatto che da sempre il nostro territorio è massacrato. Dobbiamo ragionare in termini di bene comune, perché credo che sia questo il modo per raggiungere un miglioramento ed un progresso per la società”.

La rete è nata così, sul filo delle mail e di Skype. “Siamo partiti in 26, oggi siamo già ad oltre 50 esperti”. Arrivano un po’ da tutto il mondo, dall’Inghilterra alla Germania, fino agli Stati Uniti e, ovviamente, l’Italia: dalla Sicilia, dalla Puglia, dall’Emilia e dalla Campania. Un comitato di super-esperti che lavora via Internet, si scambia dati e informazioni con un’ottica interdisciplinare. Elabora documenti che poi mette a disposizione della collettività. Il primo lavoro è stato quello di definire le linee guida della task-force, sgombrando subito il terreno da ogni tentazione politica o partitica.

Gli esperti si sono suddivisi in sessioni e aree: Popolazione, Territorio, Scienze Sociali, Legale. Fra poco uscirà un documento sull’acqua che dovrebbe fare chiarezza sulla differenza tra l’utilizzo dell’acqua dei pozzi o comunque delle fonti primarie e l’acqua distribuita dagli acquedotti risorse idriche della Campania. Una sorta di controcopertina a quella che l’Espresso dedicò al tema: “Bevi Napoli e poi muori”.

Ma sono in arrivo anche altri dossier: sull’aria, sulla radioattività (nel gruppo c’è un ingegnere nucleare) e poi sulle bonifiche. “Con noi abbiamo un tecnico che aveva elaborato una proposta già approvata dal ministero nel 2008 ma finita, misteriosamente, in un cassetto. La stiamo rivalutando per poi presentarla collegialmente”.

Negli Stati Uniti, racconta Paola, “la gente si fida degli scienziati, sono un punto di riferimento. Da noi, invece, non c’è fiducia. Quando ho tentato di fare una corretta informazione scientifica sulla situazione della terra dei fuochi la gente non solo ha mostrato diffidenza, ma anche rabbia contro le mie parole. Le persone hanno perso fiducia. Perciò ho lanciato il mio primo appello al mondo degli scienziati, per cercare di far sentire una voce autorevole e combattere la disinformazione”.

Non è facile, confessa. “Dormo poco, il sabato e la domenica lavoro solo per Pandora, ricevo decine di mail da smistare ai gruppi di studio e alle sessioni di lavoro. E, poi, ci sono le iniziative, i documenti, la diffusione delle informazioni. Ma, soprattutto quando sei lontana, l’idea della tua terra ferita fa più male. Qualche collega mi ha anche consigliato di lasciar perdere, è una battaglia impossibile da vincere. Non ci credo”.


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