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L’azienda non è in crisi ma chiude lo stesso e getta nella disperazione gli operai
26 Set 2013 07:38

Protestano da tre settimane, ignorati da tutti, nel cuore della Val di Sangro (Chieti) che è l’anima dell’Abruzzo industriale. Scioperano per il lavoro, perché l’azienda da cui dipendono ha deciso di smantellare lo stabilimento di Atessa (Chieti) e loro rischiano di restare disoccupati. “Ma a quest’età – dicono Doriana Bozzella, 54 anni e Marisa Di Biase, di 57 – dove lo troviamo un altro posto? Come facciamo? Il punto è che non c’è ragione di chiudere una fabbrica che funziona”.

Il punto è proprio questo: che l’Acs di Atessa non è in crisi. Qui vengono realizzate le imbottiture per i sedili del furgone Ducato e degli altri veicoli commerciali del colosso metalmeccanico della Sevel, partecipata Fiat – Psa (Peugeot-Citroën) che conta 6.200 dipendenti e 4 mila occupati nell’indotto e per cui Sergio Marchionne ha annunciato, per i prossimi 5 anni, investimenti per 700 milioni.

Le spugne per i sedili, dall’Acs vengono inviati, per l’assemblaggio, alla vicina Isringhausen e poi spediti alla vicina Sevel. I 23 operai Acs sono in grado di soddisfare – come hanno dimostrato in passato – l’intero fabbisogno della Sevel al massimo della sua produzione. Nonostante ciò nel mezzo dell’estate la direzione Acs ha annunciato “l’avvio della procedura per cessazione di attività e chiusura definitiva del sito produttivo di Atessa“.

Quindi, tutti via: è bastata una lettera per liquidare i dipendenti, che sono disperati. “Il lavoro c’è – ribadisce Ciro Innico, 40 anni -, dato che facciamo parte dell’indotto Sevel. La proprietà ha deciso di delocalizzare a Cassino, per interessi personali e perché vuole salvare gli affari che ha da quelle parti. Ma che ne sarà del nostro futuro?”
Da qui la mobilitazione, indetta dalla Fiom. L’azienda viene presidiata giorno e notte.

Non ci è neppure stato chiesto se ci fosse qualcuno disposto a trasferirsi. Tra noi ci sono anche diverse donne, vicine alla pensione”. “Abbiamo dato tanto – afferma Gianni Di Rico, 45 anni -. Abbiamo sostenuto la Sevel negli anni “d’oro”, quelli in cui si producevano più di mille furgoni al giorno. Siamo manodopera specializzata, in grado di sostenere ritmi elevati per rispettare le scadenze e gli ordinativi che non sono mai mancati. La Sevel, tra l’altro, dista pochissimo. Potremmo portare le imbottiture anche con le carriole, se necessario”.

Il loro, in breve, è divenuto un dramma. Sciopero ad oltranza, dunque: si sono incatenati ai cancelli, sono saliti sul tetto della fabbrica, da cui sono stati costretti a scendere perché è fatto di eternit, pericolante in più punti. Il presidio va avanti, ormai da parecchi giorni, nell’indifferenza totale. Le istituzioni latitano. E nessuno della direzione aziendale si è fatto vivo. “Non ci possiamo permettere di far chiudere fabbriche produttive – denuncia Davide Labbrozzi, della segretaria provinciale Fiom-Cgil Chieti -. È vergognoso questo silenzio. Continueremo a fare pressione, sperando anche che la politica si svegli”.

In settimana la protesta sarà estesa a tutte le altre aziende della Val di Sangro. “Il lavoro deve rimanere da queste parti, non siamo disposti a farcelo scippare senza ragione“.


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