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Le sfumature della vita nel racconto recitativo. Intervista a Carlotta Natoli
06 Giu 2017 07:32

Carlotta Natoli è senza ombra di dubbio una della attrici più conosciute del cinema e del piccolo schermo; l’abbiamo vista nei ruoli più diversi, da “Cuore contro cuore” a “Distretto di polizia”, da “Braccialetti Rossi” ad “Anna Karenina”. Tutti i progetti televisivi e non ai quali ha partecipato sono accomunati da una capacità che la contraddistingue, cioè quella di passare dal comico al drammatico con una naturalezza fuori dal comune. Ho fatto alcune domande a Carlotta, cercando di ripercorrere quelle che sono state le tappe di una carriera imperniata di successi che l’hanno fatta entrare nel cuore del grande pubblico.

Chi è Carlotta Natoli oggi?

E’ una domanda molto complessa in realtà per me, ma credo per chiunque; probabilmente occorre essere una persona molto strutturata per tentare di dare una risposta. “So di non sapere”, affermava Socrate e credo sia verissimo!

Com’è nata la passione per la recitazione?

Sono figlia di artigiani; mio padre faceva cinema indipendente e io, sin da piccola, sono sempre stata sui suoi set, prima come comparsa, poi come attrice. Posso dirti che, perlomeno inizialmente, sono stata guidata da lui; mio padre scriveva film, li dirigeva, li interpretava e li produceva. Ricordo ancora quando mi portava nelle moviole per montare i film, l’odore e anche il rumore che si sentiva durante il montaggio.

Cosa vuol dire essere attori, oggi come oggi?

E’ sicuramente un mestiere bellissimo, ma altrettanto difficile se lo si vuole fare al meglio. Mentre un tempo solo il nostro e pochi altri erano lavori precari, oggi lo sono diventati tutti. Il problema è che un attore senza ruolo non è nulla; ecco che, a causa della mancanza di lavoro, siamo tutti costretti a reinventarci continuamente.

Sei figlia del grande Piero Natoli. Posso chiederti cos’ha significato avere un padre come lui?

Mio padre era una persona genuina e cristallina. Mi ha insegnato a essere una persona pulita, onesta e non incline a compromessi. Aveva un’autonomia e un’indipendenza fuori dal comune. E’ riuscito a farmi capire il senso della recitazione, ovvero una mancanza di confini tra finzione e vita reale. E’ nato negli anni ’40, ecco che la sua idea del cinema era totalmente diversa da quella che i più possono avere oggi, tuttavia quell’idea poetica che aveva lui mi è rimasta, un cinema semplice e non troppo artificioso. Posso dirti che lui non faceva fare i classici provini; ai suoi possibili protagonisti  faceva camminare da una parte all’altra della stanza e ricordo una grande imbarazzo.

Hai esordito in tenera età,  avevi solo otto anni quando ha iniziato a muovere i primi passi. Ti sei mai chiesta se hai scelto tu il mestiere della recitazione o se è stata quest’arte ad aver scelto te?

Me lo sono sempre chiesta! Ho un rapporto non risolto, di amore e odio con questo mestiere. Ho sicuramente iniziato a fare l’attrice per via di mio padre, poi è una professione che fortunatamente mi è riuscita. Iniziai con “Le amiche del cuore” di Michele Placido ed è stato nel momento in cui andammo a Cannes che ho capito che avrei potuto continuare. Quando credo in un progetto, metto tutta me stessa e spero che al pubblico arrivi qualcosa!

Sei è una delle più brave attrici dei nostri tempi; riesci a coniugare piccolo e grande schermo. Cosa rappresentano la televisione e il cinema? Hai una preferenza?

Quando ho iniziato a fare questo mestiere ho sempre pensato che avrei fatto solo cinema, mai televisione e teatro. Il grande schermo è un’arte senza eguali; tuttavia il piccolo schermo ha segnato moltissimo la mia formazione rendendomi anche autonoma e indipendente da mio padre. E’ importante dire che la qualità e la quantità non vanno mai di pari passo; meno quantità giri e più qualità puoi avere; avendo più tempo, hai la possibilità di andare approfondire le scene. Fare televisione ha anche altri vantaggi per un attore, ovvero quello di fare un percorso insieme al tuo personaggio, ti costringe a stare costantemente nel presente e di conseguenza a un maggiore atletismo emotivo e scenico. In questi ultimi anni, il cinema ha avuto una discreta risalita esattamente come la televisione ha dato alla luce prodotti molto interessanti.

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Hai interpretato molte donne sia al cinema che in tv, tra questi anche Angela di “Distretto di Polizia”. Cosa hai messo di tuo in lei e invece cosa ha lasciato Angela in te?

Inevitabilmente si porta molto del proprio vissuto in scena, ma allo stesso tempo ogni personaggio mette la lente d’ingrandimento su alcuni aspetti della propria personalità. Il ruolo di Angela mi ha dato molto e credo che abbia avuto così tanto successo proprio perché tendeva a empatizzare con chi le stava intorno, qualità nella quale mi riconosco.

Recentemente ti abbiamo vista nella terza stagione di “Braccialetti Rossi”. Quella di questa fiction per tre anni è stata una sfida non semplice, ma fortunatamente è stata vinta. Perché hai accettato di far parte di questo progetto? Come ti sei preparata per il ruolo della dottoressa Lisandri?

Inizialmente ero molto preoccupata perché volevo cercare di esprimere una forza non ostentata e spero davvero di esserci riuscita. Noi attori eravamo comunque sempre affiancati da dottori in carne e ossa che ci dicevano cosa dire o non dire, come usare gli strumenti in sala operatoria e come sarebbe potuto essere il rapporto tra medico e paziente. Interpretare un medico è sempre molto interessante perché costringe la mia parte esuberante a contenersi, un contegno emotivo. La dottoressa Lisandri ha subito nel corso di queste stagioni un’evoluzione tale da far emergere il suo lato materno.

Nella vita sicuramente, ma secondo te possono co- esistere la nascita e la morte, il dubbio di  non farcela e la speranza come protagoniste di una fiction? Perché “Braccialetti Rossi”è stata una serie tv così seguita?

E’ esattamente così! Siamo nell’era della tecnologia ed è sicuramente un’ottima sfida per la modernità ma allo stesso tempo è stata tolta a gran parte dei nostri ragazzi la possibilità di un confronto diretto; hanno molta difficoltà a relazionarsi gli uni con gli altri. “Braccialetti Rossi” ha messo costantemente in evidenza quanto i ragazzi abbiano bisogno di confrontarsi su tematiche come l’amore, la condivisione, la speranza ma anche la morte, il dolore, la sensazione di non farcela, insomma un vero e proprio turbinio di emozioni sul filo della vita. L’eroe non è colui che ha una grande prestanza fisica e un carattere amorevole, bensì è pelato e senza una gamba; ecco che con questa fiction abbiamo cercato di restituire dignità al malato.

Hai fatto parte anche di un’altra seguitissima fiction sempre targata Rai1, ovvero “Tutti pazzi per amore” in cui interpretavi Monica. E’ stato difficile vestire i suoi panni?

In realtà è stato molto divertente! Non posso far altro che dire Grazie ad Ivan Cotroneo che ha scritto una sceneggiatura atipica nel panorama televisivo italiano. Essendo lei una donna molto stravagante, per me era difficile mantenere a lungo i suoi comportamenti per ore ed ore, oltre che le prove dei balletti cantati che quotidianamente provavamo. “Tutti pazzi per amore” è stata una grande soddisfazione, tale da ripagare tutte le fatiche da set.

E’ una serie tv che, come si evince dal titolo, parla d’amore. Cos’è per te l’amore? Potremmo dire che siamo davvero “Tutti pazzi per amore”?

Direi proprio di sì! Si continua a scrivere libri e a girare film sull’amore perché in realtà nessuno ci capisce niente. Esistono tanti tipi di amore ma è assolutamente impossibile riuscire a definirlo. Sappiamo che dobbiamo tenderci ma non sappiamo come farlo.

Sei sempre riuscita a interpretare personaggi che, in un modo o nell’altro, hanno sempre lasciato il segno, pieni di contrasti e sfumature, riuscendo a dare loro quell’unicità che la contraddistingue. Quali sono i criteri per dire sì a un progetto e cosa ti deve conquistare del personaggio?

Grazie di cuore per il complimento! Innanzitutto non è solo compito dell’attore sapere in quale direzione andare, ma anche del regista. All’interprete è richiesta una grandissima apertura e flessibilità, oltre che una grande concentrazione. Posso dirti che nella mia vita per fortuna ho dovuto dire pochi no in riferimento a progetti che non mi corrispondevano; sono molto attenta al regista e agli attori con i quali vado a lavorare. L’aspetto più importante è che il progetto mi deve colpire, deve scattare qualcosa affinché mi faccia dire sì!

Quest’intervista verrà pubblicata in Resto al Sud. Che rapporto hai con la parola Sud?

Il mio cognome è siciliano, mi è molto cara la Sicilia. Tutta la parte empatica del mio carattere credo provenga proprio da lì, il profumo del gelsomino, i colori, i sapori, il mare, l’accoglienza.. che meraviglia!

I tuoi prossimi progetti? 

Sto girando l’Italia con “Tante facce nella memoria” di Francesca Comencini, uno spettacolo tutto al femminile. Sarò nella fiction  di sei puntate di Marco Risi su L’Aquila per Rai1 e forse farò un film per il cinema.


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