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L’inferno dei braccianti del Molise. Viaggio tra i disperati stranieri sfruttati dagli agricoltori italiani
06 Set 2013 07:13

Rumeni, polacchi e nord africani invadono il Basso Molise tra luglio e agosto. Arrivano nelle campagne di Campomarino e San Martino In Pensilis dalla Puglia in camion per la raccolta del pomodoro e lavorano perlopiù in nero. I controlli sono pochi e limitati, tanti invece gli stratagemmi per eludere multe. Nel nostro viaggio nel bracciantato del Bassomolise abbiamo incontrato anche i falsi braccianti, quelli che per ottenere l’indennità di disoccupazione agricola ricomprano le indennità contributive dei proprietari.

Da molto tempo il Bassomolise non è più quell’isola felice dove i diritti del lavoro venivano garantiti e il lavoro nero era solo una notizia del Tg nazionale. Son passati cinque da quando il 29 luglio del 2008 venne ritrovato in un campo di pomodori nei pressi di Nuova Cliternia, piccola frazione del comune di Campomarino, il corpo senza vita del romeno Gheorghe Radu. Gheorghe non era un lavoratore stagionale come tanti altri: quando la Romania non era ancora membro dell’Ue , lui aveva già ottenuto il permesso di soggiorno. Viveva da anni a Torremaggiore, nella Puglia settentrionale. La mattina del 29 luglio incominciò a raccogliere i pomodori prima dell’alba, la sua ultima alba. Stroncato dal caldo e dalla fatica prima di mezzogiorno, si accasciò e non si alzò più.

Un po’ tutti dopo quel 29 luglio 2008 hanno giurato “non sarà ma più come prima”. Ma è stato davvero così? Che situazione abbiamo oggi nei campi del basso Molise?

La Caritas nel suo ultimo rapporto annuale dice che in Molise gli immigrati sono circa 8mila (di cui quasi 6mila tra la città la capoluogo, Campobasso, e il resto della sua provincia). Provengono in gran parte da Romania, Polonia, Albania, Marocco e Bulgaria. Il 75 per cento è donna e la quasi totalità è impiegata nel settore agricolo. Cioè in Bassomolise, dove l’agricoltura è il settore economico lavorativo trainante.

Nonostante il contesto territoriale e sociale, nel settore della prevenzione del lavoro nero si investe poco. Nessun controllo straordinario sui campi, ma il classico “giro” di routine che svolgono i tre funzionari in forza all’Ispettorato del lavoro della Regione Molise. Tre uomini per pattugliare e contrastare il fenomeno del lavoro nero, sia esso agricolo o di altra natura lavorativa, su tutto il territorio regionale. Decisamente un po’ pochi.

Le campagne e i terreni più osservati sono quelli di Campomarino e San Martino In Pensilis. A sentire gli imprenditori agricoli del luogo, diverse sono state le ispezioni e le multe ma in molti si lamentano del fatto che i controlli eseguiti non vanno al di là degli appezzamenti di terra che confinano con il manto stradale . «Questi ispezionano solo chi ha i terreni lungo la strada. Non si addentrano mai dove veramente c’è lo sfruttamento e il lavoro nero. Non è giusto».

Per oltre un mese, all’incirca da metà luglio a metà di agosto, avviene la raccolta del pomodoro e dalla vicina Puglia arrivano furgoni carichi di migranti (rumeni, polacchi e nord-africani, mentre i bulgari si spostano con mezzi propri). L’autista solitamente percepisce 3 -4 euro per ogni passeggero al giorno per il trasporto nei campi. Si comincia all’alba e si termina al tramonto. Dieci – dodici ore di lavoro a cinque euro l’ora, oppure a cinque euro a cassone per i più bravi e veloci.

Questa prassi è l’anticamera del caporalato che diventa tale quando la sera ogni operaio deve cedere 5 euro al proprio referente, ovvero a colui che gli ha permesso di lavorare. Nella maggior parte dei casi è un connazionale che vive in Italia da molto più tempo e che quindi è molto più sciolto nella comunicazione e nel linguaggio con i vari ‘padroni’. Sono sempre i caporali che si accordano con il datore di lavoro per il costo dell’ora di lavoro e sono sempre loro a decidere chi far tornare a lavorare il giorno dopo e chi no.

Il caporalato è il sistema di sfruttamento più facile da riscontrare ma, purtroppo, non è l’unica forma di illegalità riscontrata. Infatti produce ulteriori effetti collaterali. Di questi, tre sono i fenomeni più diffusi rilevati nelle campagne bassomolisane.

Il primo è uno stratagemma per ammortizzare l’eventuale multa in caso di controllo e riscontro di irregolarità. Di solito all’interno di un gruppo, di una squadra di braccianti di 20 unità, solo 5 o 6 vengono assunti con regolare contratto. Perché solo cinque e non tutti? Perché al momento dell’eventuale controllo gli ispettori non si troveranno un campo privo di operai e con solo i mezzi e gli attrezzi per la raccolta del pomodoro, ma una decina di operai di cui la metà regolarmente assunta. Quindi uno sconto di multa: non i 30mila o 40mila euro ma una più ‘abbordabile’ multa da duemila o tremila euro.

Il secondo fenomeno legato al lavoro nero riguarda i falsi braccianti. In cosa consiste il fenomeno dei falsi braccianti? In sostanza per 10 – 15 euro è possibile diventare braccianti e ottenere l’indennità di disoccupazione agricola. Il meccanismo è semplice: i proprietari delle aziende agricole fanno lavorare in nero i migranti. Le indennità contributive , invece, vengono sistematicamente vendute/cedute ai falsi braccianti, che il più delle volte sono parenti o amici stretti degli stessi proprietari, i quali a loro volta avranno diritto all’indennità previdenziale.

Un sistema in cui ci guadagnano tutti tranne chi lavora davvero. Infatti l’azienda passa per quella in regola, che paga i contributi, il falso bracciante percepisce l’indennità di disoccupazione agricola. Il lavoratore, invece continua a lavorare in nero e senza tutela. Il fenomeno è recente e consente ai falsi braccianti di svolgere altre attività.

Il terzo fenomeno è alquanto curioso ma allo stesso tempo indicativo della mostruosità delle leggi che regolano il fenomeno dell’immigrazione nel Paese. La Bossi-Fini infatti obbliga il migrante extracomunitario, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno, a presentare nella richiesta di documentazione un contratto di lavoro, mera l’espulsione. Per ottenerlo, gli stessi, si offrono di pagare al futuro datore di lavoro cifre pari a 6-7 mila euro per un contratto di lavoro e in sostanza per acquistare un permesso di soggiorno. Ovviamente la cifra non verrebbe consegnata cash ma distribuita nel tempo e ammortizzata sul costo del lavoro. Questa è una pratica molto in voga tra i bulgari e i polacchi.

A margine di queste tre situazioni bisogna aggiungere anche che vi sono dei lavoratori ‘regolari’ costretti a pagarsi i contributi per percepire l’indennità di disoccupazione agricola («Vuoi lavorare da me? Dato che posso avere manodopera a 20 euro ti pago fino a 30 euro e i contributi te li versi tu») e che in tanti sono in nero perché operai cassintegrati delle grandi fabbriche del Nord.

Le campagne molisane, che sino a dieci-quindici anni fa erano lavorate per lo più da gente del posto o da “sansevresi”- lavoratori che provenivano dalla vicina Puglia e in particolare dalla cittadina di San Severo , oggi sono diventate una tappa, una delle mete lavorative stagionali che include anche la raccolta del pomodoro in Puglia, le uve in Sicilia e le arance a Rosarno.

Tuttavia, a prescindere da queste distinzioni geografiche e razziali, durante il nostro viaggio abbiamo toccato con mano che il lavoro nero o non regolare è un fenomeno diffuso più di quanto pensassimo. Nulla ci indurrebbe a immaginare situazioni raccapriccianti, al limite della umana sopportabilità, a pochi passi da casa, e invece bisogna fare i conti anche con questo fenomeno: alimentare la vita sfruttando la vita è una malattia seria, un cancro diffuso, che si accompagna alla mancanza di rispetto per il genere umano e partorisce un danno permanente, rendendoci tutti complici di un reato.


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