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La Notte della Taranta non è Sanremo e Melpignano è nel Salento, in Puglia
08 Giu 2019 09:08

Nell’estate del 1998, nei comuni della Grecìa Salentina alcuni gruppi di musica popolare s’incontrarono per dar vita a un concertone notturno che si svolgerà a Melpignano in onore di Uccio Bandello, morto il 27 giugno di quello stesso anno.

Uccio, contadino di Cutrufiano, è stato uno dei migliori interpreti dei canti popolari della tradizione salentina. «Aveva imparato a cantare alla maniera dell“aria de li fochi” (canto polivocale alla stisa in cui uno incomincia e gli altri lo seguono facendo il controcanto, ognuno rispettoso del ruolo dell’altro e del proprio), e alla maniera dei “trainieri”, modalità questa che insieme alle romanze dava spessore e risalto assoluto alla sua voce e alla sua personalità».

Il concerto del 1998, diretto da Daniele Sepe, ebbe un grande successo e dopo quella notte nulla fu più come prima. In pochi anni quel raduno pensato per ricordare un grande figlio di quella terra diventa il festival di musica popolare più importante d’Europa.

Nel corso degli anni musicisti di gran vaglia si sono alternati alla direzione artistica del festival che nel frattempo ha assunto il nome de “La Notte della Taranta” e con loro tantissimi musicisti provenienti da tutto il mondo che hanno saputo rinnovare, non tradendo la tradizione, una musica che era già terapia nella metà del Seicento, così come testimoniato da Ernesto De Martino in “Sud e Magia”. Nell’appendice a quel monumentale lavoro di ricerca, “Intorno al tarantolismo pugliese” De Martino propone le parole che il Reverendo Domenico Sangenito scrisse al libraio Antonio Bulifon di stanza a Napoli, a proposito delle virtù terapeutiche di questa musica.

«Coloro che son morsi dalla tarantola, poche ore di poi, con voce inarticolata si lamentano, e se li circostanti domandando loro che cosa l’affligge, molti risposta non danno; ma solamente con gli occhi torvi li riguardano; ed altri fanno cenno colla mano sul cuore. Per la qual cosa gli abitatori di que’ paesi come persone prattiche, sùbito vengono in cognizione del malore che li tormenta; onde senza perder tempo tantotosto chiamano sonatori con vari istrumenti, poiché altri balla al suon di chitarra, altri di cetera, ed altri al suon di violino; sul principio del suono pian piano cominciano a ballare…».

È notizia di questi giorni che l’edizione del 2019 de “La Notte della Taranta” farà il suo debutto su Rai2 e che il direttore della rete, Carlo Fraccero ha deciso che sarà condotta da Belen e il suo compagno Stefano De Martino. Ha anche aggiunto che vuole fare «della Notte della Taranta il Sanremo estivo».

Un progetto che rischia di far naufragare anni di lavoro e di ricerca filologica e di trasformare un festival che ha costruito la sua ragion d’essere nel rapporto di unicità con il territorio a cui appartiene. Niente di più distante e diverso dal festival di Sanremo, niente di più distante e diverso da Belen e il suo compagno.

Contro questo tipo di approccio che tende a rendere uguale e vendibile ogni cosa, che annulla le differenze e le peculiarità di un territorio, delle sue tradizioni, la casa editrice Rizzoli manda in libreria un libro che, al contrario, aiuta a riflettere sull’unicità di quel territorio. È il nuovo lavoro di Gabriella Genisi che con “Pizzica amara” lancia nel mondo letterario italiano una nuova protagonista: Chicca Lopez, maresciallo dei carabinieri, salentina.

Una scrittura matura che nulla concede al superfluo e lavora per sottrazione. Una storia complessa come complesso è il mondo e il territorio che racconta. Tutto parte dalla profanazione della tomba di Tommaso Conte, un giovane ragazzo morto per un sospetto incidente stradale. Questo episodio, apparentemente senza spiegazione, apre una voragine all’interno della quale cadranno, uno alla volta, alcuni dei personaggi più in vista di un piccolo paese del Salento.

La Genisi utilizza una storia originale e ricca di colpi di scena per rappresentare una terra che mostra di aver studiato bene e a fondo. Parte dalla contemporaneità e da misfatti che riguardano ampie zone del nostro Paese come, per esempio, l’inquinamento della terra con rifiuti tossici per approdare al mistero dei riti satanici che, purtroppo, hanno una presa sempre più forte sulle giovani generazioni.

Mescola con sapienza rara storia e fiction, ricorda per esempio l’omicidio di Renata Forte commesso a Nardò il 31 marzo del 1984, per rendere la narrazione più convincente e aderente alle questioni che sta raccontando, non disdegnando voli pindarici che rendono, in alcuni passaggi, aulico il suo narrare.

È il caso per esempio della straordinaria e spiazzante omelia che Don Vincenzo Basile dedica a Federica Greco, il cui omicidio determina la svolta nelle indagini di Chicca Lopez.

«Carissimi, oggi non vi parlerò di sacre scritture e non citerò passi del Vangelo consolatori, che possano lenire il dolore e sedare le vostre coscienze ferite. Mi perdonino quanti amavano Federica, a cominciare dai suoi genitori. Al contrario, voglio scuotere le vostre coscienze. E per questo comincerò parlandovi della Rivoluzione francese. La rivoluzione che voleva distruggere i privilegi di pochi a vantaggio dei tanti era ispirata a tre parole che avrebbero guidato il progresso dell’umanità: Libertà, Fraternità, Uguaglianza. Il programma politico universale per l’umanità.».

Il Salento è qui raccontato per quello che è, per quello che è stato. Senza edulcorazioni.

Si mangiano «tielle di terracotta colme di cicere e tria, incannulate al ragù e pitta di cipolle» piuttosto che «’ncannulate, attorcigliate a mano una per una e condite con il sugo fresco e la ricotta forte. Una cosa da far resuscitare pure i morti».

Si raccontano le battaglie e le rivendicazioni sindacali delle prime donne operaie del Salento, le tabacchine.

«Da dove arriva la mia sventura, vuoi dire […] Da quella sventurata di mia madre, Rosalia la tarantata. La vedi quella foto e le altre che stanno appese nel corridoio? […] Le scattarono dei professori venuti da Roma a studiare le tarantate, anni prima che io nascessi. Perché mia madre è stata tarantata quasi tutta la vita, ma un tempo era una tabacchina. Il primo morso arrivò che non aveva ancora diciotto anni. Erano i giorni della raccolta del tabacco. Tu lo sai chi erano le tabacchine?».

C’è la corruzione e la connivenza tra politica e malaffare, c’è, ovviamente la malavita organizzata che a queste latitudini si fa chiamare Sacra Corona Unita.

C’è la pizzica. Quella vera, sanguigna, la terapia per guarire i tarantolati e quella riscoperta e rilanciata in tutto il Salento proprio come omaggio a Uccio Bandello.

«Un tintinnio di tamburelli interruppe la conversazione. Tiziana batté le mani per attirare l’attenzione. “Ragazze adesso basta, comincia la festa. Al ritmo della pizzica” […] Stregati dal ritmo incalzante, tutti gli invitati si tolsero le scarpe, sollevarono le gonne e rimboccarono i pantaloni, presero i fazzoletti bianchi e i tamburelli posati in un paniere di giunco, e cominciarono a danzare all’antica, maschi con maschi, femmine con femmine».

E poi c’è l’epilogo, pura maestrìa che lascia la voglia addosso di leggere ancora di Chicca Lopez, carabiniera salentina.

Aspettando la “Notte della Taranta” di questo 2019 ricordiamoci che le virtù salvifiche della pizzica, quella che oggi si chiama musicoterapia, nel Salento esistono e sono documentate sin dalla metà del Seicento e che continueranno a vivere anche quando le orde dei barbari che stanno attraversando questo nostro malconcio presente saranno solo un triste ricordo. Melpignano è nel Salento, in Puglia. E lì resterà. Per sempre.


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