';

#AddioSud, così le industrie abbandonano il Meridione
11 Mag 2015 03:43

Whirlpool e Auchan sono due facce della stessa medaglia: le difficoltà dell’Italia contemporanea; sul fronte dell’offerta e della domanda, della produzione e del consumo.

Che diventano ancora più gravi nel Mezzogiorno e in particolare in Campania.

E che ci raccontano, purtroppo, che la grande crisi che stiamo vivendo è ben lungi dall’essere terminata. Andiamo con ordine. Whirlpool e le difficoltà sul fronte della produzione. La storia ormai è chiara: con il nuovo secolo l’industria italiana ha incontrato crescenti problemi. L’emergere di nuovi produttori, nell’Est d’Europa e del mondo, ha eroso la competitivitá di molte nostre imprese, specie nei settori in cui il costo del lavoro è più rilevante, i beni più standardizzati, e il mercato europeo ormai di dimensioni limitate nel quadro internazionale. Come è accaduto per diverse aziende negli elettrodomestici bianchi.

Altri paesi, come la Germania, sono stati meno colpiti. Per la propria specializzazione produttiva. Ma soprattutto perchè hanno reagito meglio. Investendo rilevanti risorse, pubbliche e private, nell’innovazione sia dei processi produttivi sia dei prodotti; con non poco successo, come mostra la grande differenza fra Germania e Italia della dinamica della produttività e della produzione manifatturiera negli ultimi 10-15 anni.

Le difficoltà dell’industria italiana sono state più forti nel Mezzogiorno, per un insieme di motivi: non ultimi le storiche, più difficili condizioni di contesto in cui operano le imprese al Sud, e il forte affievolirsi – fin quasi a scomparire – di qualsiasi politica pubblica di sostegno e di rilancio dell’industria meridionale. La Svimez ben documenta il tracollo degli interventi di politica industriale nel Mezzogiorno – più che nel resto d’Italia – negli ultimi anni.

Contrariamente a quanto avvenuto in Germania, dove i governi hanno promosso e sostenuto un processo di reindustrializzazione dei Lander dell’Est. In questo quadro si inserisce il caso Whirlpool; particolarmente grave perchè la chiusura dello stabilimento di Carinaro viene prevista in un piano in cui la nuova proprietá americana decide cospicui investimenti in Italia. Come è stato già ricordato sulle colonne di questo giornale non vi è stata una capacità del governo di interloquire con la Whirlpool sui contenuti del piano al momento dell’acquisizione, provando – con l’insieme degli strumenti di cui dispongono gli esecutivi – ad ottenerne una ridefinizione nel senso di un maggiore equilibrio territoriale. Salvo poi ad intervenire, come avvenuto con la riunione di ieri, sull’onda della sacrosanta protesta che si è immediatamente determinata. Si sta chiudendo la stalla quando i buoi sono ormai fuggiti? Vedremo; speriamo di no.

Ma nonostante qualche notizia positiva, il rischio della scomparsa di un altro rilevante pezzo della Campania e del Mezzogiorno industriale è ancora presente. Come se non bastassero le difficoltà sul fronte dell’offerta, l’Italia è ormai da anni investita da una grave crisi di domanda, frutto delle politiche europee dell’austerità, supinamente subite nel nostro paese. Il reddito interno è caduto, e appare ancora assai lontano il momento in cui si potranno semplicemente recuperare i livelli pre-crisi.

La riduzione è stata assai più forte nel Mezzogiorno. Per motivi economici: perchè il Sud esporta meno, e quindi trae minor giovamento da vendite sui mercati internazionali che si traducono in stipendi e potere d’acquisto interno; perchè le aziende sono mediamente più piccole; perchè il mercato del lavoro è peggiorato di più. E per scelte di politica economica: come mostrano i dati del rapporto sulle economie regionali della Banca d’Italia (stranamente ignorati nel dibattito) la spesa pubblica – per investimenti, nella sanità e nell’istruzione – è stata tagliata molto più al Sud che nella media nazionale; e la tassazione locale è aumentata molto di più al Sud. Le aziende della grande distribuzione che si erano insediate nel Mezzogiorno facendo i propri calcoli sul reddito dell’epoca e su un ragionevole tasso di crescita si sono trovate spiazzate, nonostante questo canale abbia subito un arretramento minore rispetto ai piccoli negozi. E adesso ridimensionano fortemente la propria presenza e licenziano.

L’ulteriore contrazione dell’occupazione non è solo preoccupante in sè, per le lavoratrici e i lavoratori coinvolti e le loro famiglie. Ma anche perchè se chiudono le imprese le condizioni produttive anche per le altre diventano peggiori, perchè si riduce la “densitá economica” del territorio. E perchè se tanti occupati perdono il proprio salario, la domanda interna si contrae ancora. Tutti noi speriamo che le mutate condizioni economiche internazionali (costo dell’energia, quotazione dell’euro, azione della BCE) possano far migliorare un po’ la situazione quest’anno. Anche se, come continua a ricordare tra gli altri Giorgio La Malfa sul Mattino, senza un profondo mutamento dell’intonazionazione delle politiche fiscali europee sarà difficile vedere veri cambiamenti.

Ma il punto è che la lunga e profonda crisi non ha terminato di offrirci i suoi frutti avvelenati: è purtroppo lecito pensare che altre difficoltà aziendali – maturate nel passato – si aggiungeranno in futuro a quelle di cui leggiamo oggi, continuando a rendere problematico il complessivo recupero. Ed è bene non dimenticare mai che, se tutta l’Italia ha sofferto e soffre, le condizioni del Mezzogiorno sono drasticamente peggiorate. Gravissimo è l’arretramento industriale: non mancano tante ottime aziende che ce la stanno facendo e qualche notizia di nuovi investimenti.

Ma i dati d’insieme mostrano una cospicua riduzione del valore aggiunto. Ed è bene ripeterlo sempre: senza una industria grande e competitiva è difficile prevedere un futuro positivo per la Campania e l’intero Mezzogiorno. Sarebbe bene che la politica, e in particolare l’esecutivo, dedicassero un attenzione molto maggiore alle politiche di sviluppo territoriale, magari cominciando con il riattribuire la delega per le politica di coesione (oggi tornata al Primo Ministro) a qualcuno che se ne occupi attivamente. E, oltre ad intervenire con tavoli di crisi nei casi di difficoltà conclamata, si disegnassero linee e strumenti di una politica industriale che non può non avere anche una sensibile dimensione territoriale.


Dalla stessa categoria

Lascia un commento