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L’ex quartiere-fabbrica riqualificato solo sulla carta è già fallito. E affoga nei debiti
03 Giu 2013 12:10

Dieci buoni motivi per restare al Sud e per non mollare.

E, fra le ragioni per le quali vale la pena di resistere ce n’è anche una che mi sta a cuore: completare la gran mole di opere incompiute che punteggia la mappa del Mezzogiorno.

Il nostro viaggio parte da Bagnoli, il simbolo forse di tutte le incompiute di Napoli e, in qualche maniera, del Sud. L’Italsider era il sogno di una città che voleva diventare industriale e moderna. Dopo più di vent’anni, l’ultimo sussurro del suo altoforno si è trasformato in una dismissione infinita. Ora, poi, che l’intera area è stata sequestrata dalla magistratura, Bagnoli è un incubo pieno di sospetti e veleni che non possono essere rimossi dalla coscienza collettiva.

La vera storia della bonifica di Bagnoli è tutta negli atti parlamentari depositati nel 2012 dalla Commissione di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti. La relazione conclusiva è del 12 dicembre 2012. Ma la situazione è sotto gli occhi di tutti da sempre. Il rogo della Città della Scienza ha fatto il resto. Il progetto, sulla carta, è semplice: c’è una società (controllata al 90% dal Comune e per la quota restante da Provincia e Regione) che acquista i suoli ex Iri (per un’ottantina di milioni), li bonifica e poi li mette sul mercato. Dopo due decenni, la bonifica è stata completata più o meno al 65%. Sono state realizzate una serie di opere (il Parco dello Sport, l’Acquario tematico e la Porta del Parco) che sono altrettanto cattedrali nel deserto, dal momento che pur essendo ultimate sono inutilizzabili e, soprattutto, già degradate.

Come se non bastasse, i lavori realizzati sono finiti nel mirino dei giudici: nessuno, oggi, può effettivamente garantire se quell’area sia effettivamente salubre o se, invece, i “veleni” industriali accumulati negli anni siano ancora dannosi. Nessuno ce lo può dire con certezza: i criteri utilizzati per la bonifica non hanno tenuto conto della destinazione delle aree (ancora, per lo più, da definire).

Una cosa è bonificare un terreno dove sorgerà una fabbrica un’altra, ovviamente, dove crescerà un parco giochi. Sembra banale, ma nessuno ci ha pensato. C’è poi un altro aspetto inquietante: la confusione di ruoli fra chi “controlla” e chi doveva invece essere “controllato”. Uno fra tutti: la Provincia che doveva emettere il “verdetto” sui lavori di bonifica siede anche nel Cda di Bagnoli Futura, la società che appalta i lavori.

Se a tutto questo aggiungiamo la cronica carenza di fondi del Comune (che avrebbe dovuto finanziare l’opera) e il fatto che in assenza di un progetto completo nessun privato si sognerebbe mai di comprare suoli sui quali non c’è alcuna certezza, il disastro è praticamente servito. Il 22 aprile scadeva l’ultima asta per i terreni già bonificati: è stata azzerata. Se Bagnoli Futura, che nel frattempo ha accumulato circa 250 milioni di debiti, fosse una società privata, avrebbe da tempo portato i suoi libri in tribunale. I giudici ci diranno chi e se ha sbagliato.

A Bagnoli non ha funzionato praticamente nulla: è mancato un flusso costante di finanziamenti, non ci sono stati criteri trasparenti sulla qualità della bonifica, nessuno ha cercato di delineare in maniera definitiva il destino di quell’area, con la conseguenza di alimentare le mire della camorra.

Con queste premesse la grande scommessa del dopo Italsider era già persa fin dall’inizio.

Peccato che nessuno se ne sia accorto.


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