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Le chiavi del paradiso
13 Gen 2015 09:30

Agli inizi del ‘900 c’era ancora la fila alla fontana comunale. Essa era situata nella parte bassa del paese ed era stata finanziata dal vescovo, quando divenne confessore dei principi Nicotra.

Dapprima, di fontana, ve ne era un’altra dieci volte più piccola, dove si erano affaticate le contadine per due secoli, dopo dieci ore di lavoro nei campi.

Con un minimo di progresso, le ore di lavoro erano diventate otto e la nuova fontana era ampia, con l’acqua costante.

Tutto più agevole, ma quando arrivavano loro, scoppiava la maretta. Loro, erano le donne di tre famiglie un po’ particolari, gente che non rispettava le regole minime di una società semplice, che di regole ne aveva poche.

Erano donne e giovani manesche.  Appena comparivano, spingevano a manate coloro che attingevano acqua e si sostituivano, facendo ciò che volevano.

C’era chi scappava, chi si scansava a fatica e donne che saltuariamente accettavano lo scontro. La forza pubblica interveniva solo per fatti che portavano a lesioni vistose.

Prendere l’acqua ad una fontana comunale dei paesi del Sud, non è mai stato agevole. E’ raccontato nei romanzi, nei saggi di costume, nei libri di appassionati di tradizioni.

Nel tardo pomeriggio del 14 febbraio del 1899, a casa Davanzi c’era festa per la nascita di Adelina. Uno zio aveva portato un mandolino e suonava festoso, si era ucciso il pollo più imponente, si erano cucinati i biscotti. Ma dalla piazza della fontana, arrivavano urla di altro genere. Michelina era finita con la faccia nel fango ed una forsennata la linciava con un ramo flessibile. Di fianco a lei un altra donna era presa a cinghiate. Le due urlavano di dolore.

Le urla delle donne si mescolavano ai suoni festosi e alle urla di gioia, dando ai passanti un effetto surreale.

Donato il brigatiere, era un giovane sottufficiale, mandato a farsi le ossa nel paese. Era in servizio da qualche mese e quando arrivò sul posto, capì che la situazione era altamente degenerata al punto da dover estrarre l’arma e sparare un colpo in aria. L’uso dell’arma, più di un secolo fa, non era un fatto eclatante ma comunque efficacissimo.

Le assatanate si fermarono e donne dense di pietà corsero a soccorrere le malcapitate. Donato cercò di porre in stato di fermo le assalitrici, per portarle in caserma, ma gli rimase nelle sue mani solo una di esse. La più rabbiosa.

“Via sbirro…via forestiero!…Via…. Non ho fatto niente!”

“Seguitemi.”

“Adesso arriva mio fratello. Lui non ha paura dell’arma! Lui non ha paura di niente!”

Il brigatiere la ammanettò e la condusse forzatamente lontano da quel luogo. Le donne più focose stavano ordendo una sbrigativa vendetta, mentre le altre portavano dal medico Michelina e la sua amica.

“Ma come mai sei cresciuta così. Non capisci che non hai futuro, non hai nulla.” Il carabiniere avendo realizzato la giovane età della donna, era passato al tu.

“Futuro?….Cosa è il futuro?”

“E’ la speranza”

“Chi di speranza vive, disperato muore. Per me esiste solo il giorno.”

“Per te esiste solo una vita triste, schifata da tutti. E sei pure bella.”

“Sarò bella ma a me non mi sposa nessuno. Chi si mette con una Girosolini?”

“E’ il tuo cognome?”

“No. E’ il soprannome della mia famiglia. Noi siamo gli ultimi degli ultimi, ma almeno abbiamo il rispetto.”

“Tu scambi il timore per il rispetto.”

“Sempre attenzione è. Così mi sento qualcuno, qualcosa.Ognuno deve sentirsi qualcosa, non si vive solo con il pane.”

Donato capì la patologia culturale in cui versava la ragazza. Suo padre, maestro elementare, lo aveva allenato a buone letture. Soprattutto del verismo, che in quegli anni era la corrente letteraria predominante.

“E se provassi a ricostruirti una vita?”

“Ma come faccio, io sono marchiata. E poi mi sembra di tradire la mia famiglia”

“Ma l’hai detto tu che siete gli ultimi degli ultimi. Cosa tradisci?”

“Si ma siamo qualcosa.”

“Senti io ti lascio andare, ma promettimi che ci rivedremo e ne riparleremo.”

“Uno sbirro che parla con una Girosolini?”

“Io ci starò poco in questo paese, presto tornerò a Napoli. Ci vediamo tra una settimana proprio in questo punto, stesso orario. Io sarò qui ad aspettarti.”

La ragazza si allontanò. Il giovane rimase con i suoi pensieri. E ci pensò a lungo a quel dialogo. Non credeva che la ragazza tornasse, ma lui aveva provata a salvarla da quell’inferno culturale e sociale. Voleva solo quello. Forse.

Qualche dubbio gli era venuto. C’era qualcosa che non gli quadrava. Lasciandola andare era venuto meno al suo dovere.

Passò una settimana. Stesso punto, anche l’orario. Donato era lì, senza uniforme.

Dopo dieci minuti: nulla. Era un po’ deluso e stava tornando sui suoi passi. Ma alla fine del viale sentì sussurrare da una siepe: “Brigatié”

“Ah! E cosa ci fai qui?”

“E che potevo venire li giù. Ci vedono. Entrate. E Donato si trovò in una specie di capanna, nata dall’ingarbugliamento di due folti arbusti.

“Brigatié”

“Mi chiamo Donato e tu?”

“Concetta.”

“Allora. Sei pronta o no a cambiare vita?”

“Ho passato una settimana a pensare. A me tutti mi hanno trattato da bestia. Tu sei il primo che mi ha parlato da cristiana.”

Lo guardò in viso, mostrando una chioma ben pettinata. Poi continuò: “Ma ho una domanda, tu pensi che in Paradiso ci sia posto anche per me?’

“In Paradiso c’è posto per tutti. Ma bisogna comportarsi più o meno bene.  Un minimo.”

“Io non voglio rimanere come sono. Ma cosa posso fare?”

Donato percepiva lo stato di ansia della ragazza. Il suo cuore fletteva verso la pena.

“Devi uscire dalla tua famiglia. Cercati un uomo, sposati! Ma che sia un uomo diverso da quelli che conosci. Dai tuoi fratelli.”

“Brigatié, anche se sono una povera stracciona – te lo chiedo lo stesso: portami con te a Napoli! Sono pronta a fuggire! Posso farti da serva, da schiava. Poi un marito me lo trovi tu!”

Il 6 agosto del 1902 Donato Scansone sposò Concetta. In una piccola chiesa. Presenti solo amici e colleghi di lui. I suoi genitori non avevano accettato quella che avevano definito una serva schifosa. Nemmeno loro, in quella città di arte e cultura, avevano trovato le chiavi del Paradiso.


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