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117 investimenti al Sud bloccati dai comitati del “no”. Ma l’errore è della politica che non dialoga
20 Ago 2013 07:44

Ostaggio di una burocrazia sempre più forte e della ostilità in continua crescita dei territori (ultimo in ordine di tempo è il no del Salento al Trans Adriatic Pipeline (Tap), il progetto italo-greco-albanese che porterà il gas estratto dall’immenso giacimento di Shah Deniz in Azerbaigian direttamente in Puglia), anche i progetti di infrastrutture al sud hanno cominciato a fare i conti con il fenomeno del Nimby.

Sui 354 impianti bloccati nel 2012 dalle contestazioni dei territori (Fonte Nimby Forum), 117 interessano regioni del sud. Il fenomeno delle opposizioni dei territori alle infrastrutture e alle opere era esploso in modo virulento alcuni anni fa proprio in Campania con i termovalorizzatori, e nonostante la scarsa propensione alla industrializzazione, sono proprio le regioni del sud a fare registrare un aumento sensibile di casi censiti nell’ultimo anno, con l’Abruzzo addirittura al quinto posto per numero di impianti contestati.   

Ad essere messi all’indice sono centrali di produzione elettrica fonte rinnovabile, impianti di trattamento e raccolta dei rifiuti, elettrodotti, gassificatori, e di recente anche gli impianti di estrazione di idrocarburi.

Si sta assistendo ad un gioco estenuante al massacro, nel quale c’è una parte (quella del no) che sembra avere ragione a prescindere, arrogandosi il ruolo di detentrice e difensore del bene comune; dall’altra parte, invece, ci sono le imprese, che in ossequio al fare hanno dimenticato in questi anni che anche la comunicazione dei progetti ormai costituisce un elemento ineludibile del processo, mentre avrebbero dovuto investire sulla partecipazione e l’ascolto per evitare che si arrivasse ad un punto di non ritorno.  

GRAFICO_REGIONI_NIMBY

Ragioni e responsabilità sono altrettanto evidenti, perché manca un tassello fondamentale del mosaico. La politica in Italia, e al sud soprattutto, pare avere rinunciato al suo mandato fondamentale, quello di essere sintesi e rielaborazione concreta delle reali esigenze collettive, locali e nazionali. L’interesse comune non lo si definisce in astratto, non lo si calcola con la durata del mandato, bensì si cerca di individuarlo riconducendo i momenti di consultazione e partecipazione a scelte concrete. 

I dati europei testimoniano quanto sia necessario coinvolgere le popolazioni nei progetti di infrastrutturazione fin dalle fasi embrionali dei processi autorizzativi. Il dialogo, la trasparenza, l’impegno collettivo pagano: i tempi si accorciano ed i progetti vanno avanti. Anche in Italia. Come è accaduto in Toscana ed Emilia Romagna con la Variante di Valico, e a Genova con il primo debàt publìc promosso da Autostrade per l’Italia per chiedere ai cittadini di scegliere il nuovo percorso della tangenziale Gronda. Occorre mettere a frutto queste esperienze e sistematizzarle in una proposta concreta. Soprattutto al sud


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