';

Bavaglio in Calabria, in consiglio entrano solo giornalisti “selezionati”
08 Mag 2013 22:13

«Io sono colei che mi si crede», così chiudeva la partita delle indagini la Signora Ponza.

Coperta da un velo, perché la verità è inconoscibile; ognuno la riconosce come vuole, figlia o seconda moglie, che sia.

A mutare non è la sua essenza, ma solo lo sguardo dell’altro.

Eccesso di relativismo? Forse. Eppure, la morale narrata in “Così è se vi pare” si adatta perfettamente al caso in questione, quello del protocollo della discordia.

Riannodiamo i fili del racconto e iniziamo.

Lo scorso 30 Aprile, a Palazzo Campanella, sede del Consiglio regionale della Calabria veniva sottoscritto un accordo che “regolamentava” la presenza dei giornalisti al suo interno, «che avrebbe reso il più trasparente possibile, la casa dei calabresi», come sottolineava uno dei sottoscrittori il Presidente del suddetto Consiglio, Francesco Talarico.

Un protocollo che voleva «difendere la professione giornalistica attraverso alcune regole. Perché la qualità dell’informazione ..richiede un alto livello di preparazione..che non può essere il frutto di una prestazione occasionale», rilanciava il Segretario regionale del Sindacato dei giornalisti, Giuseppe Parisi.

D’altra parte occorreva difendere «la professione soprattutto dalla caduta di credibilità», considerava il Presidente regionale dell’Ordine dei Giornalisti, Giuseppe Soluri.

E dato che una simile convenzione in Italia rappresentava un unicum, si salutava con gaudio una tale «iniziativa pilota», subito pronta per essere esportata in altre Regioni, come suggeriva il presidente nazionale della Fnsi, Giovanni Rossi.

Tutti contenti, dunque. Bè, in effetti non proprio, perché tempo due giorni e sul web è iniziata a montare la protesta di varie testate, quasi tutte online, che parlavano senza mezzi termini della volontà del Palazzo di “blindarsi”; mentre qualcuna, come Strill.it o il Corriere della Calabria, annunciavano ai propri lettori che giammai avrebbero più pubblicato «i comunicati stampa che a profusione giungevano dagli affollatissimi uffici stampa dell’Ente», «considerandola come la più grave intimidazione fin qui messa in atto ai danni dei giornalisti calabresi».

Cosa sarà mai accaduto, vi chiederete. Sappiate che è tutta colpa dei punti di vista. Come nel caso della Signora Ponza.

Perché ecco, il punto focale della questione è proprio cosa si intenda per “regolamentazione degli accessi”.

Per alcuni appare la panacea per ogni male, per altri finisce coll’essere una esplicazione del male.

Stando ai sei agili articoletti del protocollo, i giornalisti potranno, sì, accedere al Palazzo, previo accredito, «nei giorni di sedute del Consiglio Regionale», ma il loro raggio di azione sarà «esclusivamente al primo piano del Corpo A1 – lato sala stampa», e sarà solo all’interno di quest’area che potranno, eventualmente, intervistare i consiglieri, sempre, ovviamente, dopo aver preso contatto con l’Ufficio Stampa.

Le testate, per ottenere l’accredito dei propri giornalisti, cineoperatori, fotografi (tutti ovviamente contrattualizzati) «dovranno avere in organico almeno un giornalista assunto con contratto nazionale di lavoro giornalistico».

Niet assoluto poi sulla possibilità di accedere, per i su citati, ad altre aree del Palazzo, a meno che non vi sia l’assenso dell’Ufficio Stampa.

Ma i giornalisti contrattualizzati si consolino, peggio andrà ai freelance, accolti “con riserva”, «nei limiti delle disponibilità del numero dei posti a disposizione, sempre che, ovviamente, possano dimostrare di avere una posizione attiva alla gestione separata dell’Inpgi e di dover realizzare servizi di politica regionale».

A voler essere maligni si potrebbe pensare che non senza seguito siano stati l’incursione di Monteleone che cercava, invano, di intervistare Rosy Bindi per Report o l’inchiesta che la Guardia di Finanza sta conducendo sull’uso dei rimborsi elettorali di qualche consigliere; a voler essere maligni, ma non lo sono.

Come dicevo, comunque, a livello locale, quasi solo le testate web hanno vergato vibrate proteste, citando come pietre dello scandalo soprattutto il divieto di frequentare altri luoghi oltre «il recinto» e la necessaria autorizzazione per fare interviste, desaparecidos sulla maggior parte delle testate cartacee, eccezion fatta per qualche breve clip su CalabriaOra.

Il motivo è facile da cogliere, perché è ovvio che una testata in cui già il direttore riesce a stento ad arrivare a fine mese, avere un qualche giornalista sotto regolare contratto nazionale è una chimera, auspicabile indubbiamente, realistico non proprio. Idem nel campo radiotelevisivo, con l’eccezione dell’editore di Reggiotv, che l’ha definito «incostituzionale».

Ma se sul locale si ignora, il nazionale certo non si lascia sfuggire una ghiotta notizia, e così due sono stati i piccati articoli pubblicati sui siti de LaRepubblica e Il Fatto Quotidiano.

Sul fronte politico a mostrare il suo punto di vista divergente dal compiacimento diffuso per l’unicum è stato Demetrio Naccari Carlizzi, consigliere regionale democrat, che sfruttando l’allitterazione e il parallelismo, ha commentato in una nota: «Alarico fu seppellito nel Busento con il suo tesoro, dopo il sacco di Roma.

Talarico, principe barbaro vassallo di Scopelliti, cerca di nascondere il tesoro della democrazia cioè l’informazione».

Al di là delle buone intenzioni di qualcuno, questo il succo del suo pensiero, i risultati parevano lui piuttosto «frutto di una visione dirigista che ostacola invece che favorire la trasparenza e la partecipazione attiva del cittadino che ha come premessa una completa informazione».

«In un momento in cui l’informazione con il web ha assunto una dinamica orizzontale, cosa c’è di meglio che porre limiti e barriere? Ecco allora il recinto, i criteri selettivi e se è possibile l’autorizzazione a procedere».

Mentre un altro Talarico, Mimmo, in forza al gruppo regionale dell’Idv, affidava ad una nota il suo personale timore: «Non vorrei che la rigidità del protocollo celasse una limitazione del diritto di cronaca degli stessi giornalisti. In ogni caso è sorprendente che i vertici del sindacato e dell’ordine non abbiano espresso alcun dubbio in proposito».

Ma la risposta di questi ultimi non si è fatta attender troppo. Tempo altri due giorni e Rossi, Soluri e Parisi inviano una nota congiunta in difesa del Protocollo e, in definitiva, del loro personale punto di vista.

Obiettivo della Convenzione è «agevolare il compito dei giornalisti», evitando ch’essi debbano contendersi i posti con quei giornalisti che «si trovano lì per passare il tempo o per curiosità» e dicendo «no, con forza, al lavoro nero ed allo sfruttamento sistematico e scientifico ai danni di tanti giornalisti precari».

Obiettivo, ci tengono a precisare, che «diversamente da come qualcuno ha superficialmente inteso» riguarda «anche i giornalisti “freelance”».

E per ciò che riguarda la libertà di accesso? Sono «scelte che appartengono esclusivamente, anche per ovvie ragioni di sicurezza, al Consiglio regionale ed alla sua autonomia organizzativa e regolamentare».

E per ciò che attiene le interviste? «Un’opportunità in più a disposizione dei giornalisti accreditati».

Certo, anche in capo all’Ordine non è mancata una divergente visione, quella del vicepresidente nazionale, Enrico Paissan che, intervenuto a Cosenza a un convegno sulla libertà di stampa, lo ha definito con tre semplici parole «sconcertante, buffo e non condivisibile».

Sarà così o meno? Ciascuno la pensi a suo modo perché, a conti fatti, la verità non è solo come la si vuol vedere?


Dalla stessa categoria

Lascia un commento