A parole.
Tutti siamo contro lo sfruttamento, la schiavitù e il caporalato.
Certo.
Ma business is business.
Così un cosa è quello che si dichiara in pubblico alle riunioni, un altro è quello che si fa in privato.
Perché se a una catena di distribuzione o a un’azienda di trasformazione interessa esclusivamente pagare il pomodoro al prezzo più basso possibile (magari a 10 centesimi al chilo, quanto nel 1987), allora il gioco è chiaro.
Sta decidendo di lucrare sul lavoro nero.
Sta decidendo di produrre un pomodoro sporco di illegalità. E di violenza.
I cittadini-consumatori hanno un’arma potente in mano: la consapevolezza. Possono sapere.
Cominciamo a sapere chi sta dalla parte della legalità e chi dall’altra. Chi sta dalla parte di un’agricoltura di qualità, equa e sostenibile, e chi dalla parte di un’agricoltura di rapina.
Ecco Auchan ieri non c’era a prendersi, come gli altri, impegni chiari e netti. E nemmeno la grossa azienda di trasformazione dei pomodori in scatola, la Princes, c’era.
Giusto chiedergli conto.
Pubblicamente.
In tanti.
Con una bella campagna che costringa a giocare a carte scoperte.
Poi passeremo alle aziende di produzione.
Insomma, la vera leva del cambiamento è la partecipazione.
Oggi più che mai.
Forza, questa sfida dobbiamo vincerla.
Per loro, i lavoratori, per la nostra agricoltura, per la Puglia.
Lascia un commento