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La #Basilicata alla guerra delle #trivelle
09 Ott 2015 06:56

Val d’Agri. È nera la Madonna del trecentesco santuario di Viggiano. Nera, quasi per predestinazione divina, come quel liquido che sgorga dalle viscere della terra e, nel bene e nel male, condiziona la vita della valle.

C’è il petrolio in Val d’Agri, qualcosa come il 70 per cento delle riserve italiane, un Bengodi insperato per tutta la penisola che ne ricava il 10 per cento del fabbisogno energetico nazionale.

La Madonna dal volto scuro, comune a tanti luoghi del Sud, è «patrona e regina» della Basilicata, il petrolio ne sta diventando croce e delizia. È tutto concentrato in un grosso quadrilatero, stretto da Brienza in alto, Marsico Vetere a sinistra, Corleto Perticara a destra e il lago del Pertusillo in basso. Nel cuore, sulla terra rigogliosa che fu dominio del brigante Scopettiello, c’è Viggiano.

Sembra strano che, proprio quando Carlo Levi descriveva la fiera civiltà contadina lucana dell’orgoglio e dei silenzi, da queste parti già l’Agip aveva cominciato le sue ricerche di idrocarburi. E, quasi vent’anni fa, a Viggiano cominciava la prima lavorazione del petrolio.

Poca cosa, rispetto a quello che oggi è il Cova (Centro olio Val d’Agri), vasto agglomerato da perdersi in tubature, invasi, uffici. Le guardie giurate ne sono custodi attenti. Centro chilometri di condotte, ben 27 pozzi che danno greggio, una produzione giornaliera aggiornata di continuo: 84619 barili riempiti ieri, 2 ottobre.

Tutto questo, incastrato in luoghi da incanto, non lontano dal Parco nazionale Val d’Agri lagonegrese, appartiene al 70 per cento all’Eni e al 30 alla Shell Italia. La loro ultima concessione scadrà il 26 ottobre del 2019, facile intuire che verrà rinnovata. Il petrolio viene estratto e, attraverso condotte sotterranee, arriva alla raffineria Eni di Taranto. Il gas metano, invece, viene immesso nella rete di distribuzione Snam.

L’acqua di stato che, spiegano i tecnici Eni, è una sorta di «acqua fossile» che era nel sottosuolo a contatto con il greggio, viene riportata nel terreno al pozzo «Costa Molina due». La Lucania saudita è qui, ma il Dime (Dipartimento Sud dell’Eni), che gestisce tutto, ha trovato casa in un bel convento antico nel cuore di Viggiano. In tutto, vi lavorano 409 persone tra cui 208 lucani. Con l’indotto si arriva ad un’occupazione di 3530 persone.

Eppure, suona davvero strano che una regione con tanto oro nero, con uno stabilimento a Mefli in grado di produrre la famosa jeep Renegade marchiata Fiat Chrysler, resti fanalino di coda nelle classifiche di reddito nazionali. Le compagnie petrolifere esibiscono cifre da royalties consistenti: 95 milioni di euro vanno alla Basilicata, con l’ultimo incremento dal 7 al 10 per cento. La fetta più consistente arriva alla Regione, con oltre 158 milioni e mezzo. A 6 Comuni (Calvello, Grumento Nova, Marsico Nuovo, Marsicovetere, Montemurro, Viggiano) arrivano circa 27 milioni e 400 totali.

È Viggiano a ricevere di più: 18 milioni e 108mila euro. Ma Viggiano ospita le maggiori strutture e sopporta pesi e fastidi più consistenti: il rumore notturno che fa spavento, le esalazioni nell’aria, i sospetti sull’inquinamento dell’acqua del lago Pertusillo che è a soli 10 chilometri dai pozzi e alimenta l’Acquedotto pugliese, finendo nei rubinetti di Bari, Brindisi, Lecce. Certo, i soldi delle royalties fanno comodo a Viggiano, che a volte non sa come spenderli. Ironizzano i portavoce locali del Movimento cinque stelle, Piernicola Pedicini e Ignazio Corrao: «Il petrolio porta povertà, in altri Paesi le royalties sono molto più consistenti. Il modello di sviluppo legato al fossile ha fallito, portando disastri ambientali che non hanno prezzo».

E, negli ultimi anni, la protesta ambientalista è cresciuta, con più gruppi: l’Organizzazione lucana ambientalista fondata dal giornalista freelance Pietro Dommarco; Mediterraneo no Triv; No scorie Trisaia; Liberiamo la Basilicata. Giornalisti lucani hanno fatto con le loro inchieste sui pozzi petroliferi vere e proprie denunce. Come Mimmo Nardozza con il suo documentario «Mal d’Agri», o il segretario radicale Maurizio Bolognetti.

L’Arpab della Basilicata replica con la pubblicazione degli ultimi rilievi ambientali, sottoscritti dal direttore Bruno Bove che, soprattutto sull’idrogeno solforato, parlano di dati «a livelli inferiori ai limiti previsti dalle norme». Roberta Angelini, responsabile del settore sicurezza e ambiente del Dime, dice: «Abbiamo a cuore i temi dell’ambiente che preserviamo con continui controlli e ammodernamenti».

L’ultima iniziativa a gennaio, quando per 21 giorni si è fermato il Centro olio di Viggiano. Un’interruzione per consentire di ripulire gli impianti che verranno presto anche abbelliti con un progetto artistico. Commenta il presidente della Regione, Marcello Pittella: «La Basilicata non è una nuova terra dei fuochi, come qualcuno vuole dipingerla. Abbiamo ottenuto più royalties, ribadito il no alle trivellazioni sul mare e il limite di produzione massimo di 154mila barili al giorno. Oltre non si può andare per la sostenibilità ambientale».

Ed è esplosa l’ultima battaglia nel Comune di Marsico nuovo. Da un mese, sono cominciati i lavori del nuovo pozzo di Pergola 1 per tastare la presenza di greggio. Andranno avanti per 8 mesi e saranno estesi per 3 chilometri. Il Comune ha dato il suo assenso, gli ambentalisti hanno diffuso foto di boschi sventrati. Ha scritto Pietro Dommarco: «L’Eni deve perforare altri 6 pozzi nuovi, in 4 casi c’è il parere negativo della Soprintendenza, mentre in 2 casi è stato il sindaco di Viggiano a dire no».

Per molti giovani, l’idea è che i pozzi arricchiscono altri. E il lago Pertusillo preoccupa gli ambientalisti. Il tenente della polizia provinciale, Giuseppe Di Bello, denunciò morie di pesci e acqua scura. Anche la docente Albina Colella dell’Università di Potenza, in uno studio del 2004, ha parlato di livelli preoccupanti di idrocarburi. E Michele Marsiglia, presidente della Federpetroli, commenta: «Forse l’Eni dovrebbe comunicare meglio, con trasparenza. Io penso che la Basilicata abbia accumulato rabbia verso il petrolio, che non ha prodotto tanto sviluppo rispetto alle risorse estratte. Piuttosto che chiedere più royalties ci sarebbe bisogno di altro».


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