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La Calabria, la ‘ndrangheta e la zona grigia
15 Lug 2014 06:14

In Calabria la “zona grigia” molto spesso è nera. E’, questa, una conclusione inconfutabile a cui, ahinoi, i fatti di cronaca ci conducono con mano ferma e salda, lasciando sempre meno spazio a dubbi o speranzose incertezze.

Di norma la zona grigia è quell’area della società che si muove in modo fluido tra il biancore della legalità ed il nero opaco e mortifero del malaffare: grigia perché opaca, ovvero poco trasparente, ma anche perché alimentata e nutrita da personaggi (spesso i c.d. colletti bianchi) che per loro natura difficilmente possono essere accostati all’immagine tipica del malavitoso. Un’area che per sua natura tende innegabilmente a non avere confini ben definiti, avvicinandosi o allontanandosi ai due opposti con incredibile facilità e con un tempismo dettato dal mero opportunismo.

Ebbene, a mio avviso il susseguirsi di eventi particolarmente significativi, sia per quanto attiene la politica che la cronaca in senso stretto, non può non portare a credere che oramai una delle caratteristiche tipiche della zona grigia, ovvero la “non identificabilità”, sia ormai venuta meno: sempre più gli episodi di corruzione, di connivenza con la ‘ndrangheta, di sudditanza e complicità al malaffare che vedono protagonisti personaggi pubblici e ben individuati.

Nei giorni scorsi si è discusso molto degli inchini delle statue della Madonna ai boss ‘ndranghetisti: seguendo un copione oramai scritto in serie, il Sindaco non sapeva, i vescovi si sono meravigliati ed adirati, i cittadini con alto senso civico si sono indignati, la magistratura addirittura ha aperto delle inchieste. Ma nessuno, prima, sapeva niente. Forse sarebbe utile domandarsi, con malcelato stupore, quali fantasmi abbiano frequentato sino ad ora queste processioni.

L’elenco potrebbe essere lungo, dai politici condannanti per reati che vanno dalla corruzione al fiancheggiamento della criminalità organizzata, a professionisti i cui altezzosi atteggiamenti sono foraggiati esclusivamente dagli incarichi affidati loro da compiacenti dirigenti della pubblica amministrazione, sino a finire a noti imprenditori bravi solo ad approfittare della pioggia di finanziamenti pubblici, lontani anni luce dal concetto di libera concorrenza, altrove addirittura posto alla base dell’imprenditoria stessa. Sempre più spesso, quindi, il grigio diventa nero.

La diffusione dell’istruzione, una (seppur minima) emancipazione sociale, ma soprattutto l’avvento dei nuovi mezzi d’informazione ci permettono quindi di rialzarci dalla supina posizione tipica del servo, il quale appena può inveisce senza alcuna distinzione contro tutti i padroni, per poter invece indossare la veste del libero cittadino, il quale può e deve interessarsi di quanto avviene nella società che lo circonda, ma ancora di più deve essere interessato a vigilare sull’operato degli amministratori della cosa pubblica, al fine di effettuare una scrupolosa selezione della classe dirigente (politica e non) del nostro paese.

Additare i disonesti alla riprovazione sociale è quindi possibile. Nasce allora, quasi spontaneamente, una domanda: è sufficiente avere gli strumenti necessari ad individuare la zona grigia? Nel Sud, e per quanto mi riguarda in special modo in Calabria, la risposta non può che essere negativa. Sino ad ora le risposte sono state – coerentemente con un approccio tipico del nostro paese – esclusivamente emergenziali, concretizzandosi quasi sempre in interventi della magistratura (l’arresto del corrotto di turno) o decisioni prese d’imperio (la sospensione delle processioni), ma mai in reali mutamenti della coscienza sociale calabrese.

In Calabria, più che in altre realtà meridionali, regna la nebbia, tutto è sfumato, i confini delle regole e dei valori spesso non sono delineati, ed in questo apatico torpore molti sembrano vivacchiare bene, senza altre pretese che non il proprio tornaconto. La voluta “non determinatezza” della zona grigia in passato ha certamente impedito l’insorgere di un diffuso sentimento di disapprovazione, al contrario di quanto avvenuto in tutti quei territori o in quelle circostanze in cui la criminalità organizzata si è pubblicamente manifestata in tutta la sua letale e distruttiva potenza, suscitando – paradossalmente – un sentimento di viva protesta e reazione contraria.

Non sono un fanatico delle rivoluzioni né credo che ci si possa affidare al Messia di turno per sovvertire uno stato delle cose così frustrante delle legittime aspettative dei tanti calabresi onesti: sono fermamente convinto, altresì, che solo una nuova coscienza civica e un rinnovato sentimento di appartenenza possano svegliare una società che per altri versi ha tanto di cui essere orgogliosa. Spesso gli strumenti ci sono, sta a noi volere usarli.


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