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La nostra unica salvezza? Un posto al call center
07 Nov 2013 15:57

Allora ragazzi

vi racconto una piccola storia. Oggi finalmente mi ha richiamata la tipa del call center, con la quale avevo fatto un colloquio una settimana fa. Non si era più fatta sentire. Davo per scontato di non esserle piaciuta. Forse, ho pensato, saranno stati i tatuaggi. Oppure, la mia faccia che da un po’ di tempo a questa parte è diventata l’apoteosi del mio fallimento lavorativo.

Perché si, lo ammetto, mi sento una fallita. Una che corre e corre nella mirabile impresa del lancio del curriculum per raccogliere soltanto: no, ci dispiace siamo pieni, magari potessimo dirle di si, etc etc. Nel migliore dei casi ti chiamano per fare dei colloqui in posti talmente ambigui che diventa difficile indovinare persino il nome dell’azienda.

L’altro giorno sono stata in un posto assurdo. In sala d’attesa continuavano a fluire persone col curriculum in mano e sul viso una speranza pronta ad essere tradita. La signorina alla reception giocava con l’I-phone mentre casse stereo nascoste a dovere pulsavano musica a volumi esagerati. Sul tavolino una serie di riviste sparse, talmente vecchie che persino quelle che di solito si trovano nella sala attesa del medico offrono notizie – di gossip chiaramente – più aggiornate.

Arriva il mio turno. Entro nella stanza dei colloqui e questo tizio con la faccia grassoccia e le labbra storte in un sorriso fatuo – vizio di maniera contratto dopo qualche mese nel suo ruolo di manager – mi stringe la mano tanto forte che sono costretta a massaggiarla per tutto il tempo del colloquio per sventare il rischio di contusioni.

Inizia a parlare e spara tante di quelle parole che alla fine sono letteralmente stordita dal mio ennesimo colloquio di lavoro. Morale della favola: non riesco a capire cosa cercano, chi cercano, la storia dell’azienda, di cosa l’azienda si occupa. Ovviamente notizie tipo: compenso, ore lavorative, storie di questo tipo, sono totalmente escluse dal nostro dialogo. Ogni volta che provo a fargli domande, mi guarda storto e mi zittisce come se fare domande non fosse lecito in un colloquio di lavoro. Perché devi essere come minimo grata del fatto che almeno un colloquio lo stai facendo.

Loro ti stanno offrendo lavoro, ti stanno offrendo la salvezza, ti stanno offrendo una possibilità diamine e tu che fai? Fai domande!! Inammissibile mia cara.

Me ne sono andata via depressa. Ma oggi mi ha richiamata la tipa del call center. Forse domani sarò salva sul serio.

Nel frattempo ho una laurea in corso, due corsi di specializzazione professionale, conosco discretamente tre lingue, collaboro con i giornali da diverso tempo ma non ho mai visto mai nemmeno un euro per le mie “prestazioni professionali”. Ma ragazzi, non buttiamoci giù, domani forse riuscirò a prendere in giro qualche vecchietto e farò carriera al call center.

Domani è un altro giorno. Dopo domani però un bel biglietto per “altrove” è lì pronto ad essere timbrato.

Chissà perché, in questi giorni in cui ho sfiorato la più totale disperazione, ho ripensato a quel capolavoro letterario che è la Costituzione italiana.  Ci sono tutti quegli articoli – per la precisione dal 35 in poi – a proposito dei rapporti lavorativi, delle certezze economiche, della condizione del lavoratore. Del DIRITTO AL LAVORO.

La nostra Costituzione è il racconto di una splendida utopia. Oggi la disoccupazione giovanile supera il 40%. Domani il 90% di questi giovani timbrerà con me un biglietto di sola andata per “altrove”. E, in tutto ciò, i nostri politici giocano ancora a scambiarsi figurine sotto banco.


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