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La superstite dell’Eternit: “Ho due tumori. Mio padre dormiva su sacchi di amianto”
05 Giu 2013 07:54

“Volevo correre a ringraziarlo e chiedergli consigli su come proseguire la battaglia legale. E mi sono ritrovata sommersa da fotografi e giornalisti”. Luisa Pastore, 43 anni, figlia di due operai dell’Eternit di Bagnoli morti di amianto, racconta il suo incontro con il procuratore Raffaele Guariniello all’indomani della storica sentenza di condanna al magnate dell’amianto. Il ‘day after’ di Luisa è simile a quello di centinaia di familiari delle vittime del ‘mostro di Bagnoli’, quello stabilimento che in qualche decennio ha lasciato alle sue spalle tumori e un ambiente devastato. Ma Luisa quella fabbrica non riesce proprio a odiarla. “Ricordo quando io e mia sorella raggiungevamo la portineria per portare la colazione a papà. Era distratto, spesso la dimenticava a casa. E i tanti primi maggio festeggiati nel cortile aziendale, con quella giusta punta di orgoglio di un operaio che si sentiva il ‘primo anello’ di una catena”. Il padre di Luisa, Agostino Pastore, era responsabile del reparto sversamento sacchi di amianto nelle smistatrici.

“Lui se ne vantava – ricorda Luisa – e diceva ‘tutto parte da me‘. Era tanto legato al suo lavoro che spesso dimenticava nelle tasche della tuta la taglierina che serviva per aprire i sacchi”.

Quei maledetti sacchi pieni di amianto sui quali, nei rari momenti di relax, provava a riposarsi tra un turno di notte e l’altro, trasformandoli in un provvisorio giaciglio. Agostino morì di asbestosi polmonare nel gennaio del 1993, all’età di 62 anni. La stessa terribile diagnosi che provocò la morte della moglie Cesira solo due anni e mezzo più tardi.

Papà prese in fabbrica il posto di mamma nel 1969. Mamma era al reparto manufatti, aveva sempre le mani ‘ulcerate’, impastava acqua e amianto. Smise di lavorare perché nacque mia sorella e provò a chiedere di far subentrare suo marito. Le dissero che l’operazione era possibile solo se fosse stata disposta a rinunciare alla liquidazione. Accettò, non c’erano altre possibilità di mandare avanti la famiglia. La sua morte avvenne per soffocamento. Era in perenne crisi per mancanza di ossigeno“.

Luisa oggi guarda avanti, nonostante tutto. Ha un figlio quindicenne e periodicamente controlla il suo stato di salute. Pochi anni fa scoprì di avere dentro sé un carcinoma. E poi un altro ancora. Adesso il problema è superato.

“Il mio oncologo non lega questo problema alle conseguenze dell’amianto in famiglia. Ma non lo esclude. La prima volta – ricorda Luisa – quando seppe che abitavo nel quartiere di Cavalleggeri, mi disse solo una parola: fujtenne (vattene, ndr)”.


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