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Se trovare #petrolio evoca una sventura
19 Feb 2016 08:45

Siamo il solo posto al mondo in cui trovare il petrolio evoca una sventura, anziché una botta di fortuna. Quanto possa essercene, nel mare Adriatico, in che condizioni, quindi con quali costi d’estrazione, è ancora da vedersi. Molti, però, sperano di non vederlo mai. E, per non correre il rischio, preferiscono bendare gli altri, impedendo l’esplorazione.

Finché si tratta dei soliti comitati “no-triv”, passi, perché tanto sono comitati “no-tutto”. Niente gallerie, niente ponti, niente strade, niente binari. Vivessero solo dei prodotti della terra, naturalmente coltivata a mani nude, per non arrecare troppi danni alle zolle, si potrebbe anche osservarli con tenerezza. Ma sono grandi consumatori di comunicazione generante inquinamento elettromagnetico, sicché va bene anche il compatimento. Il fatto è che al loro fianco, contro il petrolio, ci sono dieci regioni e cinque richieste di referendum.

Il governo prova a disinnescarne quattro, cedendo senza combattere. Anche perché la gran parte delle regioni opponenti è governata dallo stesso partito di cui il presidente del Consiglio è segretario. E’ così da pazzi volere i pozzi?
Posto che “trovare il petrolio” dovrebbe fare esultare, e posto che paesi con un welfare molto generoso, come la Norvegia, lo mantengono grazie ai pozzi, questioni come questa non dovrebbero diventare oggetto di contrapposizione religiosa o ideologica. Dipende. Oggi il prezzo del petrolio è basso, ma non è detto rimanga tale. A questo prezzo non è competitivo neanche lo shale gas statunitense, che però ha conquistato agli Usa una preziosa indipendenza energetica.

Noi siamo importatori di materie prime energetiche, il che ci costa non solo in quattrini, ma anche in vincoli di politica estera. Se quel petrolio ci fosse, insomma, non sarebbe affatto saggio rinunciarci. A qualsiasi costo, anche ambientale? Ovviamente no, ma senza neanche esagerare in senso opposto: per affermare che le onde di aria compressa, utili a esaminare la geologia oltre il fondo marino, non devono essere utilizzate perché disturbano i pesci, occorre vivere in un cartone animato. Sono tecnologie largamente utilizzate nel mondo. O si rinuncia del tutto all’energia elettrica (le pale eoliche disturbano gli uccelli), oppure meglio dismettere tanta ipocrisia.

Ho anche letto che qualche governante regionale irride i quattrini che si incasserebbero per i diritti di ricerca, perché pochi. La dice lunga: i soldi devi puntare ad averli se il petrolio c’è e lo si estrae, mica per fare gli studi propedeutici. Ridano pure, gli italici della costa adriatica, ma che facciamo se poi quei diritti, prima di ricerca e poi di sfruttamento, se li vendono quelli dell’altra sponda?

Si obietta: cercare il petrolio sarebbe un danno al turismo. A parte il fatto che alcune mete turistiche odierne devono molto al fatto che si trovano in paesi petroliferi, ho l’impressione che l’industria e l’economia del turismo siano chiamate in ballo non quando si tratta di fare (strade, porti, aeroporti, servizi on line, prenotazioni senza pagare il pizzo a piattaforme estere, etc.), ma quando si pretende di non fare. Sviluppare il turismo richiede investimenti e infrastrutture, non ruralità pauperistica e borgalità incontaminata.

Se si ragionasse si dovrebbe affrontare la faccenda da un altro lato: premesso l’uso di tecniche coerenti con la salvaguardia ambientale, e depositate garanzie economiche escutibili in caso di incidenti, quanto rimane alle comunità locali, in termini di investimenti e gettito, nel caso di giacimenti sfruttabili? L’utilità generale genera una disutilità locale, che è giusto sia compensata. Quei compensi, viste le zone, possono essere la premessa di uno sviluppo solare e fiorente. Magari ci fossero.

Invece tutto si ferma alla minaccia del referendum, agitata da governatori che si ergono a paladini della conservazione, salvo poi reclamare l’arrivo di trasferimenti pubblici, destinati ad alleviare i dolori dei fallimenti produttivi. Pensano, insomma, che i denari crescano nell’orto dei miracoli, anziché fuoriuscire dalle tasche dei contribuenti. E il governo cede, per evitare di spiegare ed esporsi, avendo effettivamente cambiato verso: da baldanzoso rottamatore d’ogni immobilismo a immobilizzato dalla “percezione” collettiva. Che altro non è, del resto, se non il prodotto di paure e superstizioni, alimentate dall’assenza di una credibile guida politica.


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