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Calcio e Covid 19: ora servono i giovani pronti?
12 Gen 2022 20:13

L’esplosione dei contagi dovuti alla pandemia in atto nel mondo continua a portare effetti anche nel mondo del calcio. Nonostante un susseguirsi di nuovi protocolli AntiCovid emanati dalla Figc il virus continua a creare problemi nel calcio italiano a tutti i livelli compresa la serie A.

Nella massima serie calcistica italiana si è assistito al rinvio di numerose gare a seguito di numerosi casi esplosi nei team coinvolti. Si sono su queste fattispecie creati dibattiti su diversi aspetti coinvolti: dai problemi di adeguamento dei protocolli Figc ai gravi danni economici patiti dalle società a seguito delle perdite dovute alla riduzione delle presenze negli stadi ad una eventuale ridiscussione degli introiti tv, all’impossibilità, stando alle dichiarazioni di diversi dirigenti, di assicurare attraverso l’impiego di ragazzi delle formazioni giovanili Primavera la stessa competitività tecnica al campionato.

Proprio quest’ultimo aspetto colpisce non poco. Premesso che sia naturale la necessità di ricorrere a giovani già formati e pronti per essere impiegati nel massimo torneo, ritengo sia opportuno approfondire sulle motivazioni che spingono alcuni dirigenti a tali affermazioni.

Affermare infatti che in questo modo non si è competitivi significa in vero “ammettere” l’inadeguatezza attuale del sistema calcio a formare giovani già pronti per il debutto in prima squadra. Si preferisce nella maggioranza dei casi girare in prestito i giovani formati in altre formazioni per poi eventualmente andare a riprenderli in seconda battuta ma in vero, come insegnano settori giovanili come quelli dell’Empoli e dell’Atalanta (esempi di società virtuose in tal senso), tirar fuori giovani pronti e competitivi in prima squadra è possibile.

Il Problema allora è legato agli investimenti umani tecnici ed economici delle società nei settori giovanili. Troppe società trascurano il proprio settore giovanile portandolo avanti come un peso necessario ma è invece fondamentale tornare a pensare ad esso come una vera e concreta opportunità di crescita dell’intera società anche in termini economici.

Questo concetto anzi dovrebbe essere propedeutico ad ogni società che aspira ad essere virtuosa in termini economici e tecnici. Innegabile che alla base di tale trascuratezza vi siano diverse cause. In primo luogo i tempi lunghi per la formazione: pur di non attendere i tempi della formazione del giovane calciatore si punta tutto sulla prima squadra considerandola slegata dalla realtà del settore giovanile perché si ritiene (sbagliando) che in fondo solo essa ha valenza.

In secondo luogo l’aspetto economico: un buon settore giovanile necessita d’investimenti in strutture, in tecnici, nei giovani ed in figure dirigenziali, scouting che oltre la competenza ed i giusti valori umani(essenziali) abbiano a cuore la crescita dei giovani non anteponendo i propri interessi personali a questo fine.

Ulteriore causa risiede nel mercato estero e nel meccanismo delle plusvalenze: si preferisce il prestito ed il rientro per produrre plusvalenze o più semplicemente ci si rivolge a giovani provenienti dai mercati esteri. In verità la pandemia ci dovrebbe ricordare che a valere sono le cose semplici ed in realtà il calcio ha bisogno di riacquistare un po’ di semplicità.

In fondo alla base di un buon settore giovanile calcistico vi è la visione d’insieme di un calcio oculato fondato sull’idea di formare e crescere i propri giocatori e l’idea è come un seme che ha bisogno di tutte le condizioni per germogliare e nel tempo produrre frutti: nel caso dei giovani in primis pazienza ed a seguire meritocrazia, competenza, valori umani. Insomma cose semplici che in fondo vanno rivalutate per aiutare un calcio malato, indebitato, pieno di problemi e sempre meno meritocratico.


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