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Zeman e Foggia: non è solo calcio
20 Giu 2021 13:39

di Oscar Buonamano

Il maestro di Praga non deve dimostrare niente a nessuno, tantomeno a Foggia e ai foggiani.

Quest’anno è diventato cittadino onorario della città di Umberto Giordano, un riconoscimento giusto e meritato per un allenatore che ha portato i colori rossoneri al punto più alto della loro storia calcistica.

Tra pochi giorni inizierà una nuova storia sportiva con i satanelli del Foggia e i tifosi rossoneri, dopo anni di tribolazioni e sofferenze, sono autorizzati, di nuovo, a sognare.

È bastata una foto che lo ritraeva con i nuovi proprietari della squadra di calcio del capoluogo dauno perché la notizia diventasse virale. Ne hanno scritto tutti, ma proprio tutti, i quotidiani cartacei. Ne hanno dato notizia tutti, ma proprio tutti, i giornali on line. Ne hanno parlato tutti, ma proprio tutti, i telegiornali e le trasmissioni sportive nazionali e locali.

Per questa semplice ragione Zeman e Foggia non è solo calcio.

La città vive uno dei momenti più bui della sua storia. Dopo l’arresto del sindaco è arrivato in città il Commissario prefettizio. I processi diranno qualcosa in più sulla compromissione del ceto politico locale. La malavita organizzata, Società Foggiana, ha radici solide in città. Il degrado è ovunque ed è, plasticamente, visibile a tutti sia che si arrivi in città da sud sia che lo si faccia da nord.

La comunità foggiana è come stordita dagli eventi e fa fatica ad organizzare una risposta democratica e civile. Ci sono piccoli movimenti in atto, tentativi di rompere il muro dell’afasia che cinge d’assedio la città dei giusti che in questi anni sono stati umiliati e resi non operativi.

Si vive un’attesa perenne, come se si stesse attendendo un segnale, nuova linfa per ripartire.

Può il calcio, un allenatore di calcio, rappresentare questa nuova linfa? Essere stimolo e slancio per un’intera comunità?

Io penso di si e vi spiego le mie ragioni.

La ragione, perché non si tratta di ragioni al plurale, ma al singolare, è una sola: l’esempio.

Il calcio come tutte le manifestazioni autenticamente popolari ha una grande capacità di condizionare la vita di una comunità, nel bene e nel male. Al sud, e per sud intendo il sud del mondo, lo è ancora di più, perché spesso è l’unica forma di emancipazione concessa. Gli atleti, i cantanti, gli attori, gli uomini e le donne di spettacolo in genere, sono da sempre dei modelli, da seguire, imitare.

Allo sportivo, al cantante, all’attore, non servono parole per creare dipendenza, basta l’esempio. Basta una canzone, un film, una vittoria sportiva.

Nel caso di Zeman, icona della correttezza e della sportività in un mondo sempre più compromesso, la sua funzione maieutica può essere la linfa di cui ha bisogna la comunità foggiana in questo momento.

«La mia arte di maieutico in tutto è simile a quello delle levatrici, ma ne differisce in questo, che essa aiuta a far partorire uomini e non donne, e provvede alle anime generanti e non ai corpi…».

È Platone che fa dire queste parole a Socrate in un passo molto noto del Teeteto.

Allo stesso modo, Zeman il muto, senza proferire parola può, con la testimonianza della sua vita e con tutto ciò che si appresta a vivere all’età di 74 anni, innescare un circolo virtuoso.

Una vita spesa ad allenare inculcando nei suoi calciatori, ma anche nel pubblico che lo ha sempre adorato, principi di correttezza e rispetto dell’avversario. Che si può anche essere ultimi e che non c’è nessuna vergona ad essere ultimi se si è agito al meglio delle proprie possibilità.

Un duro lavoro di preparazione rende le sue squadre imbattibili, certo, sul piano della corsa, spesso anche su quello del gioco. Un lavoro lungo, lento, in profondità. Una sorta di disintossicazione per ripartite con più forza nelle gambe, ma soprattutto nella testa e nel cuore,

Se a 74 anni è pronto a ricominciare da una panchina di serie C, con i valori di sempre e con lo stesso entusiasmo, vuol dire che la sua vera forza, la sua “invincibilità” risiede proprio in quei valori, in quei principi.

Se ce l’ha fatta lui, perché non ce la possiamo fare anche noi?

Sarà un lavoro lungo e duro. In profondità. Servirà estirpare il male dalla radice e non sarà indolore. Servirà coraggio, abnegazione e forza di volontà. Un duro lavoro che tocca a noi, ora e adesso, cominciare.

È tornato il tempo di giocare all’attacco e non più solo in difesa.

È tornato il tempo di camminare a testa alta e tornare a dire: io sono foggiano.

Da sabato prossimo parleremo di calcio giocato, di verticalizzazioni. Di catene di destra e di sinistra. Di attaccare la profondità. Di gradoni, si dei benedetti gradoni.

Ma oggi e da oggi pensiamo a cambiare in meglio lo stato delle cose, se lo facciamo tutti insieme si può.


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