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Cocò e il messaggio speranza della madre
31 Gen 2014 08:31

La morte del piccolo Cocò a Cassano ha lasciato tutti sgomenti. Persino Papa Francesco nell’Angelus di domenica scorsa ha voluto ricordarlo indirizzando un appello di conversione nei confronti dei suoi carnefici. Sono in tanti ad aver commentato il macabro accaduto, alcuni con contezza di causa circa i reali problemi di cui soffrono i minori figli di detenuti che il nostro ordinamento tutela poco o quasi nulla.

Argomento su cui ci hanno fatto riflettere  – solo per citarne alcuni – sia Mario Nasone che Maria Franco con i loro puntuali articoli. Anche Luigi Lombardi Satriani, in un suo recente commento, mette in evidenza un altro aspetto interessante, quello dei mafiosi come “novelli Erode continuano a praticare la strage degli innocenti senza lasciarsi ostacolare da scrupoli o da disprezzati sentimenti di pietà”, evidenziando altresì come nel corso di molti anni ne sono stati barbaramente perpetrati molti da diversi boss della criminalità organizzata e dai loro fedeli esecutori.

Ad ulteriore dimostrazione di come la varie organizzazioni criminali cambiano nel corso del tempo e non ha più senso fare ricorso al termine obsoleto quanto irreale (ammesso e non concesso che lo sia mai stato) di “onorata società”.

Se la recente lettera pubblicata dal clan locale di Cassano, con la quale prende le distanze dal triplice omicidio, dovesse essere riscontrata dalle indagini credo si apriranno nuovi inattesi ed inquietanti scenari sull’accaduto. Solo a mo’ di esempio una domanda: e se la ‘ndrangheta questa volta davvero non centra nulla? Chi può arrivare a tanta crudeltà?

Secondo una delle ipotesi più accreditate una partita di droga  non pagata? Ma qui ritorniamo com’è ovvio, sempre alla ‘ndrangheta. Ma se questa – abbiamo detto sempre per ipotesi – non c’entra nulla, allora chi? Estremisti fanatici religiosi? Unicuique suum, ci ricorda ogni giorno l’Osservatore Romano, perciò lasciamo che gli inquirenti compiano il proprio mestiere.

Personalmente, mi preme sottolinearne come dell’amara vicenda non siano stati in molti a mettere in evidenza, al di là del mero fatto di cronaca, la lettera che la signora Antonia Maria Iannicelli, madre del piccolo Cocò, ha scritto dal Carcere dopo aver ricevuto la visita di molti tra i quali anche il Vescovo di Cassano Mons. Galantino.

Quella breve lettera, se da un parte è stata giustamente pubblicata su tutti i Media e distribuita nel corso della fiaccolata organizzata a Cassano, dall’altra, forse, il messaggio centrale di riconciliazione e di speranza, lasciatemelo dire di bellezza, ivi contenuto è passato quasi in secondo piano. Chissà forse perché in molti lo hanno semplicemente accolto come un fatto che arricchisce la trama del giallo da mandare a puntate fino a quando non si scoprirà il colpevole.

Solo allora quando l’assassino (o gli assassini), sarà assicurato alla giustizia ed alla gogna mediatica, finalmente avremo il capro espiatorio che acquieterà le nostre coscienze. Scrive Antonia: «il mio cuore di mamma mi suggerisce di conservare nel mio animo il dolore per aver perso un figlio, ma di aver guadagnato un angelo che sicuramente non vuole che noi sulla terra continuiamo a farci del male, perché lui, sempre sorridente come lo era tra noi, vorrebbe certamente che la sua non sia una morte inutile, ma che porti pace nel cuore di tutti. È strano che io possa dire questo, ma pensando al sogno del mio figlioletto che avrebbe tanto voluto una vita bella e sana, penso a tutti i bambini che sognano di vivere questa vita serenamente. Mi auguro che ciò che è successo adesso non succeda mai più: perché il dolore di una mamma a cui è stato portato via crudelmente un figlio, è qualcosa che ti strappa le viscere e che non auguro a nessuno. Non ci siano, perciò, più divisioni negli animi di noi grandi per non farle vivere ai nostri figli». 

Questo appello viene dal cuore straziato di una mamma alla quale hanno ucciso, per giunta in quel modo macabro, un figlioletto di appena tre anni e che, tra l’altro, si trova in carcere. Si proprio in carcere da quei luoghi dimenticati e maledetti dove debbono finire tutti i cattivi magari “buttando le chiavi” perché noi, i buoni, finalmente possiamo vivere in pace.

Tale appello viene da questo “ossimorico” Sud, descrizione cara e davvero pertinente del Prof. Vito Teti nella sua ultima fatica editoriale dal titolo quanto mai evocativo “Maledetto Sud”, uno dei pochi insieme a Pino Aprile che riesce a districarsi su quell’ingorgo di parole e di opinioni rovesciate sulle nostre terre, che alimentano afasia,  ignoranza e confusione.

Da questo Sud, da questa Calabria, dove si aggrovigliano, “stereotipi ed antisteriotipi”, viene questo messaggio carico di speranza, che è contemporaneamente un impegno per tutti e una precisa responsabilità di ognuno. Per dirla sempre con Vito Teti «di fronte ad etnocidi e massacri necessitano scelte di pace per affrontare i problemi in maniera diversa».

Antonia, la mamma di Cocò,  questa scelta l’ha già fatta… e noi?


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