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E i killer talebani chiedono scusa a Malala. Ecco la lettera
18 Lug 2013 09:18

Anche i carnefici hanno dei rimorsi. Dopo il piombo contro Malala, i talebani prendono carta e penna.

“Dispiaciuti” e “sotto shock” per avere attentato alla vita della giovane pachistana – la cui odissea ha commosso il mondo e che pochi giorni fa ha ricevuto una standing ovation con un coraggioso discorso alle Nazioni Unite – gli aguzzini della sedicenne le scrivono una lettera sorprendente e si dicono “amareggiati“.

Nella missiva quasi si scusano per averla colpita in quel modo, ma allo stesso tempo provano a spiegare le ragioni del loro gesto, e a tratti quasi lo giustificano.

Da quel tragico 9 ottobre del 2012, quando Malala venne gravemente ferita alla testa dai fondamentalisti mentre tornava a casa da scuola, la giovane ha ricevuto numerose lettere.

Tanti gli ammiratori che hanno apprezzato la sua forza, elogiato il suo eroismo, ma quella di oggi, che porta la firma di Adnan Rasheed, leader di Tehrik-e-Taleban (Ttp), il gruppo che le sparò alla testa, ha qualcosa di eccezionale e di anomalo.

Pochi i concetti espressi, confusi nella lettera e a volte contraddittori, come riferisce Channel 4, che ha avuto modo di visionarla.

Nelle prime righe dell’insolita missiva, Rasheed, che afferma al canale britannico di averla scritta “a titolo personale“, esprime un qualche senso di rimorso per l’attacco condotto contro la ragazza che ha rischiato di morire se non fosse scattata per lei una ‘gara’ internazionale di solidarietà per salvarla.

Il leader talebano definisce l’attacco contro la giovane come un “incidente” e addirittura sostiene che c’é un dibattito in corso se quell’attentato fosse “sbagliato o giusto”, ma preferisce non entrare nel merito, precisando che il giudizio spetta solo a Dio.

“Quando sei stata attaccata é stato per me scioccante”, aggiunge Rasheed, che dice di essere arrivato a desiderare “che non fosse mai accaduto“. Non solo, ricorda che lui e Malala appartengono allo stesso clan.

Ma dopo il ‘pentimento‘ tende a giustificare l’azione dei suoi guerriglieri, che dovevano eliminare la studentessa perché “stava conducendo una campagna di calunnie per diffamare i loro sforzi (dei talebani, ndr) di stabilire un sistema islamico nello Swat“.

Semplicemente, era una ragazza che voleva studiare e difendere il diritto all’educazione per le ragazze. Il leader dei fondamentalisti invita poi Malala a tornare in Pakistan e a mettere le sue capacità al servizio di dell’Islam.

Non sarò ridotta al silenzio dai talebani“, aveva affermato con orgoglio pochi giorni fa Malala intervenendo al Palazzo di Vetro. E adesso la parola torna di nuovo a lei.


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