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Dico al #boss dei #casalesi, pentiti e chiedi perdono per il male che ci hai fatto
28 Set 2015 06:19

“Il 41 bis è una condizione di vita disumana”. Michele Zagaria, il noto boss del clan dei Casalesi, sbotta durante il processo che si sta celebrando a Santa Maria Capua Vetere.

E ha ragione da vendere. L’ uomo è dialogo, relazione, amicizia, amore. Ha bisogno di rispecchiare se stesso nel volto degli altri. “Non è bene che l’uomo sia solo” disse il Creatore. L’uomo è comunità. Di vita, di pensiero, di affetti. “Benedetto vieni, è Pasqua” gridò il prete di Subiaco al santo eremita, immerso nella preghiera e nella solitudine. Benedetto gli corse incontro e, abbracciandolo, rispose: «È Pasqua perché ho visto te».

“Quando i fratelli vengono a farci visita ci confermano che stiamo agendo bene” amava ripetere frere Roger Schutz di Taizè. Ho bisogno di te. Mi sei indispensabile. Come l’acqua da bere e il pane da mangiare. E lo sei anche per il Signore del cielo e della terra. Tu sei la mia gioia, la mia forza, il mio sorriso. Hai ragione, fratello Zagaria. È disumano rinchiudere un uomo e impedirgli di abbracciare i figli, correre per i campi, attraversare i mari.

Purtroppo chi ha costretto la società a prendere questa dolorosissima decisione, per difendere i suoi figli, sei stato tu. Non avremmo voluto farlo mai. Non avremmo mai voluto costruire luoghi dove richiudere gli uomini, ma palestre, campi da gioco, piscine, biblioteche, teatri, chiese, scuole. Noi sogniamo un mondo dove le porte di casa restino sempre aperte. Un mondo dove ognuno si fa sentinella e custode dell’ altro. Se ne prende cura. Lo ama. Michele caro, lo sai bene, tu e i tuoi complici avete portato al nostro popolo e alla nostra terra una sofferenza immensa. Ci avete sconvolti. Siamo cresciuti con la paura e la rabbia nel cuore. Siamo rimasti inorriditi davanti al sangue versato, alle campagne avvelenate. Ci chiedevamo: «Perché? ». Siamo rimasti basiti, muti, paralizzati di fronte a tanta cattiveria gratuita e inopportuna.

Non pensare, Michele, che abbiamo cantato vittoria il giorno del tuo arresto. Certo, la gioia di vedere trionfare la giustizia ci ha riempito il cuore. Così come la speranza di ricominciare un cammino nuovo. La tua chiesa di Aversa, il tuo vescovo, i sacerdoti che hai conosciuto, gli amanti della pace e della vita, non hanno gioito. La tua sconfitta, in fondo, è la nostra sconfitta. Ci siamo chiesti – e non una volta sola – dove mai affondasse le radici quel male che vi ha ammaliato e stritolato il cuore. Perché lo hai fatto? Perché hai reso insopportabile la vita di tanta gente? Sai quanti nostri giovani hanno preferito espatriare per non continuare a subire oltraggi e soprusi? Chi sono io, chi sei tu per decretare la condanna a morte di un essere umano? Chi siamo noi per intimorire, impaurire, terrorizzare il prossimo? Non è forse disumana questa “camorra” maledetta che siamo stati costretti a subire fin da piccoli? Che altro avrebbe dovuto fare la società civile se non difendersi da chi non ha saputo, o non ha voluto, vivere da uomo libero e responsabile? Vorremmo tanto che il carcere servisse a reinserire il reo nella vita normale. Non sempre accade. Non è facile. Ci vogliono forza, capacità, mezzi. Ma ci vuole soprattutto la volontà di chi ha sbagliato. Indietro non si torna. La vita è un fiume che inesorabilmente scorre a valle. Però è possibile pentirsi. Pentirsi vuol dire non arrendersi. Vuol dire ricominciare daccapo. Vuol dire continuare a sperare. Pentiti anche tu, Michele. Davvero.

Sai quanti credenti hanno pregato e pregano per te? Non è la vendetta che vogliamo. Credimi. Il male ci fa male sempre, anche quando a subirlo è un camorrista. “Non voglio la morte del peccatore ma che si converta e viva” è scritto nella Parola di Dio. Noi vorremmo tanto sentirti chiedere perdono al nostro popolo, alla nostra terra. Fallo. Non è un atto di debolezza, ma di forza. Gli uomini veri sanno ritornare sui loro passi quando si rendono conto di aver sbagliato. Unisciti a chi sul nostro territorio lotta per ridare dignità a un popolo umiliato e oppresso. C’è più gioia nel dare che nell’ avere. Davvero. C’è più gioia nel sorriso di un bambino al quale hai comprato i libri per andare a scuola che in cento, inutili, ville mastodontiche costruite con il sangue dei fratelli. A che servono? “A che serve all’ uomo guadagnare il mondo intero e poi perdere l’ anima sua?” disse Gesù.

Possiamo anche ingannare gli altri, mai potremo ingannare la nostra coscienza. C’è speranza, fratello Michele Zagaria. Credimi. Questo è un tempo di grazia straordinario. Non sprecarlo. Il figlio di Dio è morto ed è risorto anche per te. Aggrappati alla croce. La Chiesa di Aversa, nella quale fosti battezzato, prega per te. Convertiti. Chiedi perdono a Gesù e alla società. Lasciati amare. Non irrigidirti. Non opporre resistenza. Allora si che possiamo dire di averla davvero vinto la battaglia contro il male.


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