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Al Sud 650 mila giovani non fanno niente: non lavorano e non studiano
08 Nov 2013 07:19

Di una cosa siamo tutti convinti: il Paese non può permettersi 1,3 milioni di Neet under 25. Dei quali uno su due vive al Sud. Uno spaventoso esercito di giovani che non lavorano, non studiano e non sono in formazione. Che andrebbero ascoltati, motivati, orientati, formati, collocati. Senza attendere oltre, anzi assumendo questo obiettivo come prioritario. In che modo? Non sprecando una grande occasione: dall’Europa  sono in arrivo 1,5 miliardi di euro da spendere nel biennio 2014-2015 proprio per aiutare i nostri giovani Neet.

Dal primo gennaio 2014 abbiamo fondi da utilizzare, dobbiamo (solo) investirli al meglio. Il problema è che non siamo abituati.

Il programma che la Commissione Europea ci raccomanda di attuare, e per il quale ci garantisce le risorse finanziarie necessarie (circa mezzo miliardo di euro nei prossimi sei anni) è la Garanzia Giovani, un vero e proprio banco di prova per tutto il “sistema lavoro” italiano.  L’Europa chiede che tutti i “giovani di età inferiore a 25 anni ricevano un’offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento degli studi, apprendistato o tirocinio entro un periodo di quattro mesi dall’inizio della disoccupazione o dall’uscita dal sistema d’istruzione formale” (Raccomandazione del Consiglio europeo del 22 aprile 2013).

Per riuscirci non servono interventi estemporanei o da effetto annuncio. Ma azioni di sistema. È  indispensabile la creazione di una rete efficiente e integrata di servizi per il lavoro. Si potenzino finalmente i centri per l’impiego pubblici.  Ma in tutte le Regioni italiane, perché è intollerabile che la qualità dei servizi per il lavoro cambi a seconda della latitudine. Per farlo ci si può limitare a prendere spunto dagli altri: la Cgil, in un recente incontro con il ministro Giovannini, ha correttamente evidenziato che le risorse destinate ai Centri per l’impiego sono le più basse d’Europa e che il numero di operatori in Italia è di uno ogni 245 disoccupati (per un investimento di circa 500 milioni l’anno), in Germania di uno ogni 22 (per un investimento di 5 miliardi, che include 6 scuole di formazione dedicate ai dipendenti dei servizi per l’impiego).

A tale potenziamento va affiancata la concreta collaborazione tra Centri per l’Impiego e Agenzie private, sulla scia di esperienze di successo già avviate in Italia; e una valorizzazione della formazione professionale, che ridia ruolo e dignità al lavoro tecnico e manuale, ma che venga valutata nei risultati e sia non vocazionale ma saldamente ancorata alle richieste del mercato.

Non possiamo permetterci fallimenti. Sarebbe eticamente gravissimo. Ma, ad oggi, a 50 giorni dall’avvio, nulla di concreto è stato deciso da Governo e Regioni.


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